Platone e il concetto di giustizia
nella società contemporanea
Perché non può esserci una società di
ladri
Per Platone
la giustizia è l’armonia tra le facoltà dell’anima e anche tra le classi di
cittadini, in quanto assegna ad ogni facoltà oppure ad ogni classe sociale
quello che a ciascuno spetta, come attuazione del proprio compito. In termini
moderni, in una società di stampo capitalista o socialista che sia, giustizia
significa fissare dei parametri e impegnarsi affinché questi vengano
rispettati; naturalmente, ciò è compito dello stato che ha il dovere
innanzitutto di capire cosa è giusto e cosa non lo è, per mezzo della virtù
(secondo Platone, conoscenza del bene e del male), e successivamente è tenuto
ad applicare la giustizia tenendo conto dei parametri stabiliti.
Stabilire
particolari regole e governare in base ad esse - è importante evidenziare - è necessario
poiché quello stato che non si attenesse vi siete mai chiesti cosa accadrebbe?
Anche in un’associazione criminale allora che non venissero fissate delle regole,
norme alle quali attenersi, cosa ne conseguirebbe? Sicuramente non verrebbero
definiti i ruoli di ognuno, si creerebbe un caos che non permetterebbe alla
“banda” di attuare i propri loschi intenti; in parole povere, ciascun membro
potrebbe proclamarsi “capo”, arrivando così ad una sorta di guerra interna
continua poiché in questa situazione ciascuno agirebbe secondo i propri
interessi. Ebbene, anche associazioni di tal fatta si basano su talune regole
le quali, proprio perché definiscono i ruoli all’interno del “clan” e
soprattutto perché vanno contro le norme legali stabilite dallo stato,
permettono lo svolgimento dell’attività illegale. Detto questo arriviamo al
fulcro del nostro discorso: perché non può esistere una società di ladri? Semplice,
abbiamo appena affermato che in qualsiasi stato o associazione c’è bisogno che
vengano stabilite delle leggi, senza le quali è impossibile governare. Ora, se
in uno stato il 100% della popolazione praticasse il mestiere del ladro, si
arriverebbe al caos più totale, all’anarchia. In parole povere, se una persona
“A”, per vivere, ruba un bene ad una persona “B”, quest’ultima, non essendoci
leggi a cui appellarsi, non può che fare lo stesso nei confronti di “A” nonché
di “C”, di “D” e di… ”n”, la quale da un lato trae vantaggio da ciò che ha
sottratto e dall’altro è penalizzata da ciò che gli è stato sottratto. Possiamo
notare con chiarezza che questa situazione surreale offre uno spunto
interessante per sviluppare un’altra dottrina di Platone: la condanna del
relativismo sofistico e per tracciare soprattutto una indicazione ai giovani
contemporanei che si accingono ad entrare in una società della quale poi
diventeranno parte maggiormente propositiva. Tenendo presente la situazione
appena descritta, chiunque potrebbe condannare o giustificare i comportamenti
di “A” o di “B” a seconda di come appaiono ai suoi occhi, e allora da una
situazione già surreale se ne creerebbe un’altra ancora più surreale. Ed ecco
il contributo di Platone che, con la definizione di giustizia e con la condanna
del relativismo, riesce ad essere incredibilmente attuale.
Alessio
Cece, I C