La grandezza di un popolo non
dipende mai solo e soltanto dalle sue capacità in battaglia. Esistono dei
criteri ideali che modellano non solo le abilità militari, ma anche i caratteri
politici di chi governa e le idee condivise dai cittadini stessi. Un popolo si esprime una maggiore funzionalità rispetto ad un altro quando riesce a cogliere il meglio anche dal
suo nemico, una volta sconfitto. Rimanere sordi e farsi scudo con un proprio
orgoglio patriottico comporta un fallimento a prescindere.
Il più grande esempio di civiltà
intelligente è incarnato sicuramente dai romani. Già il grande Sallustio lodava
le qualità d’integrazione del suo popolo, citando il successo con cui gli
antichi avevano assimilato il catalogo di armi sannitico, nettamente superiore
a quello romano dell’epoca, o i costumi cerimoniali degli Etruschi, certamente
più suggestivi e coinvolgenti. Era proprio questo atteggiamento di completa
disponibilità ed attenta analisi oggettiva delle condizioni proprie ed altrui a
favorire la crescita del popolo tutto.
E così, centinaia di anni dopo,
ci sono anche i giapponesi a cogliere con perspicacia le giuste sostituzioni da
fare nel proprio sistema politico e militare. Pure essendo stati amanti delle
tradizioni e custodi ligi della propria storia e dei propri costumi, non
esitarono a sostituire le proprie armi, decisamente più lente e meno
funzionali, con quelle del nemico. Addirittura hanno sacrificato l'antica arte dei samurai che per tanti secoli avevano coltivato con capacità tali che ancora oggi è possibile ammirare in tanti film (esagerazioni sottraendo!). La polvere da sparo entrò così a far presto
parte delle loro strategie militari. Avevano capito infatti che il grande guerriero non poteva reggere all'umile stalliere al quale fosse stato insegnato a premere il grilletto e a dirigere il colpo. Sostituirono alle loro potenzialità superate il modello napoleonico allora dominante. Ancora oggi ne è testimonianza l'utilizzo delle figure hollywoodiane nei videogame con la consapevolezza che risultano più affascinanti.
Per fare un esempio più concreto,
mai avrebbe senso decidere di piallare una tavola di legno a mano, come qualche professionista grezzo vorrebbe da un falegname per ottenere un "antico" senza
servirsi dello strumento adatto. Sapeva costui che i grandi artisti del rinascimento facevano sbozzare o abbozzare un'opera dagli aiutanti per poi intervenire quando ci si avvicinava all'obbiettivo? Sarebbe quello un gesto frutto di ostinazione
ignorante! Bisogna quindi saper bilanciare le proprie azioni, analizzare le
condizioni in cui ci si muove e agire di conseguenza. Non ci si deve mai
intestardire e perseguire una sola strada, ignorando i cambiamenti che
avvengono attorno a noi e sembra proprio questa quella che si configura come cultura aperta ovvero sia come l'unica cultura da inseguire. Anche Leopardi colse questo senso di moderazione,
specificando che, nello studio, non bisogna mai esagerare ed isolarsi del
tutto, bisogna esser stimolati ed aperti continuamente a nuovi interessi, ma
anche disporre del tempo necessario per assimilare i contenuti immagazzinati.
Un riposo sano e costruttivo. Un verificare le proprie e le altrui espressioni che emergono dal confronto e dalla riflessione. A cosa servirebbero a caso contrario i "viaggi d'istruzione"?
Il senso dell’adattamento
rientra anche in un discorso linguistico ed educativo. Imparare una lingua, ad
esempio l’inglese in un liceo che si prefigge un compito culturale generale e non specifico, nei suoi più fini dettagli, assimilando dialetto, cadenze ed
abbreviazioni che sono proprie di una cerchia ristretta di persone e di un
territorio geografico molto limitato, non può sembrare sciocco? È inutile perdere ore ed ore
sui dettagli infimi ed inutili. Imparare l’inglese ha la principale funzione di
aprire le comunicazioni globali per queste persone, non quelle tra quartiere e quartiere.