Il giorno 17 febbraio 2020 gli alunni del Liceo Classico
Pietro Giannone, classe IID, hanno deciso di condurre un'intervista al loro
noto professore di filosofia Giuseppe Addona, autore di molti saggi filosofici tra
i quali, per citarne alcuni, "La determinazione sociale
dell'individuo" del 2014 , o il più recente del 2017 " Prassi e
ragione " pubblicato nel 2010. Oggi il filosofo è in contatto con
moltissimi esponenti della cultura italiana ad internazionale quali Nino B.
Cocchiarella, e fu soprattutto allievo del più illustre maestro di fede e di
cultura, Michele Malatesta, venuto a mancare nel 2018. A rapporti ottimi con i
suoi allievi il professore ci ha fornito esperienze ed insegnamenti utili per
la crescita personale e formativa della nuova generazione.
"Ricordo che già da ragazzo quindicenne mi ero posto il
problema di come ritenere un qualcosa giusto e valido, è chiaro però che
allora, non avendo le conoscenze che ho oggi, non percepii subito che si
trattava di riferimenti. Posso affermare infatti che una cosa è giusta solo se
la posso associare, ovvero se posso constatarla corrispondente o meno, all'idea
di giustizia. Proprio per risolvere il problema che faceva sentire fortemente
la sua voce pensai di portare avanti gli studi della filosofia. Diceva infatti
un mio amico farmacista di Seriate: " Siccome il primo cliente della
farmacia sono io, ho fatto bene gli studi per potermi curare bene". Io, come
lui, volevo capire in cosa consistessero l'innamoramento, il cosiddetto
"comportarsi bene", i rapporti con gli altri e quanto ancora risultare
valido proprio perché esplicato. Capii così che bisognava, per approfondire
esse tematiche, andare a studiare siffatti argomenti. Se partiamo dai
particolari, avremo, ciascuna volta, conseguenze a questi relative. Non disponiamo,
in questo caso, di un parametro per poter rapportarci efficientemente con gli
altri, ovvero per riconoscere comportamenti e relazioni, fatto questo che
significa, in ultimo non potere riconoscere noi stessi. Da ciò si evince che
quelli che non fanno filosofia, ossia non si dedicano a riflettere su essa
unità da rintracciare, non possono prima o poi non venire in contraddizione,
seguendo soltanto quelle che sono le motivazioni, a meno che una ragione
universale non venisse in loro soccorso. Apre così il filosofo Addona
l'intervista in risposta alla prima domanda: A che età avete intrapreso gli studi della filosofia e perché proprio
questa disciplina? Mi indirizzai su una tale strada proprio per trovare un
sostegno a quanto veniva via via a dispiegarsi. Si trattava di cercare le
connessioni ai fatti che si dispiegavano e che arrivavano puntualmente ad
investire e che potevano far sperare in una risoluzione procedendo con quelle
analisi approfondite che peculiarmente la filosofia pone in essere.
E legata a questa prima subito la seconda domanda: “In quale filosofo vi rispecchiate e per
quale motivo”: Penso che, come tutta la cultura occidentale dalla quale noi
deriviamo, il primo filosofo a cui rifarsi debba essere Socrate, anche se come
ho scritto in "Una scuola per una
cultura possibile" lui distingueva i pregni dai non pregni e sapeva
benissimo che quelli che non avevano nulla da offrire non potevano essere suoi
allievi. Faceva già dunque una selezione, anche se questa avveniva su elementi
rappresentativi delle possibilità stesse di poter esprimere qualcosa. Ricordo
al liceo Mamiani quando in una normale discussione con i miei allievi, feci
presente che nessuno dovesse essere accantonato ma, al contrario, bisognasse
spendere tutte le energie per portare ognuno al discorso intersoggettivo che
permette la vita senza troppe contraddizioni. Chiaramente io, come ho anche
scritto in "La determinazione
sociale dell'individuo", in qualità di filosofo teoretico vedo nei
filosofi parti eccezionali e contributive miste ad elementi che invece non
possono reggere, fatto questo che non sempre le scuole portano alla luce. Unitamente,
infatti, a quanto ritenuto al massimo livello si fa studiare ai giovani alquanto
materiale piuttosto semplice quando non superato o addirittura non coniugabile
con la restante parte espressa e che, pure, l'autore oggetto di studio si porta
dietro. I giovani, costretti ad imparare quello che talvolta, se non spesso,
risulta un coacervo di notizie, pervengono a costruirsi un concetto pesante di
quello, che finisce con il risultare anche fastidioso da apprendere e comunque
non è visto rispondere ad una logica e costruttiva.
Se facciamo mente locale al principio di identità di Aristotele
e al principio di contraddizione di Hegel di certo dovremmo recepire che uno
contraddice l'altro. Resterebbe così quantomeno superato, alla luce della
scoperta successiva e dalla dialettica rappresentata, il principio di
Aristotele. Addentrandoci nelle riflessioni riusciamo a scorgere che Aristotele
aveva compreso che non si può pensare una cosa ed esprimerla se non si hanno
così come riferimenti ulteriori il tempo e l'aspetto. In questo caso a essere
richiamato è il secondo principio, ovvero quello forte, cosiddetto di non
contraddizione. Hegel, che aveva colto che proprio il passaggio di essa cosa in
altro rappresenta il motore della realtà, pure non può non riconoscere che
nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto un qualcosa o è o non è benché per
lui un riconoscimento non venga a prodursi che per il passaggio antitetico e
quindi per la sintesi. Se qualcuno gli chiedesse come fai a riconoscere una
tesi prima che si sia prodotta la sua antitesi Hegel non potrebbe che
rispondere che una conoscenza di una cosa non può prescindere dall’opposizione
per la quale appunto arriva a essere rappresentata. Lo stesso intelletto
statico così come astrattivo dovrebbe essere individuato per la ragione che
antiteticamente procede. Se tanto è visto valere per quanto attiene all’ambito
umano che riconosce il precedente stato con il superamento di esso e per quello
storico pure per quanto attiene ad una fisica o alle scienze cosiddette della
natura non può non valere essa identificazione per la quale una comprensione e
una comunicazione risultano possibili: un paziente a cui sia somministrata una
soluzione o migliora o non migliora. Una linea o una figura o sono uguali a se
stesse o non lo sono. In casi come questi a non risultare applicato è il
superamento ovvero esso passaggio dialettico. Al riguardo a valere è quanto
fatto emergere da Malatesta in “Dialettica
e logica formale”, Liquori Editore. Le due individuazioni non sono in contraddizione
perché riguardano quantomeno aspetti diversi o, più specificamente, si rifanno
a riferimenti diversi. Da tanto l’importanza delle riflessioni e delle
riconduzioni. Perché privarci della comprensione, volendo attenerci ad un
qualcosa di molto vicino, che l'amico nel quale l’altro arriviamo a rispecchiarci
fino a rincorrere quanto infatti non constatiamo in noi stessi e che crediamo
di non raggiungere e che però ad un certo punto rileviamo avere addirittura a
superato, fatto questo che conduce alla rottura dell'amicizia allora che solo
su tanto incentrata, tenuto conto ormai che non c'è più bisogno di un tale
modello? Tanto non urta con quel primo principio. Proprio un tale processo
rappresenta un filosofare che continua anche se non sempre dai giovani posto in
essere. Si tratta di individuare, dunque, esse grandi scoperte considerando al
solo livello storico quanto non perviene ad essere ritenuto valido alla luce
dei parametri emersi. Tanto vale in modo emblematico per l’Aristotele della
logica e della fisica o ancora per quello dell’Etica e della Metafisica. Si
tratta, quindi, ciascuna volta, di riconoscere quanto mancante a sostegno e
cercarlo con quell’indagine che si dice filosofica così come Cocchiarella ha
individuato a proposito della stessa logica che è vista necessitare del
sostegno filosofico.
Conclude così questa breve ma approfondita intervista Il
Professore Giuseppe Addona.
A cura di Mariarita Matrone IID
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