Una gelosia appare richiamare quell’appropriazione ovvero
quel possesso di un qualcosa che, più che non volersi perdere, è ritenuto da
non condividere con alcuno. Non si tratta di recuperare un oggetto quanto
piuttosto di non voler accettare che essa “cosa” possa uscire da quell’ambito
poiché reputata esclusivamente propria. Non si è disposti, in definitiva, ad
accettare che esso qualcosa, diventato più che un possesso, torni allo stato
primordiale ovvero al punto da non risultare nell’orbita costituita per la
quale arriva a realizzarsi colui che pervenga a considerare anche un proprio
essere per tanto. Sembrerebbe evidente altresì che esso oggetto si trovi a fare
da completamento quando non da realtà effettiva a colui che constata di non
essere in assenza di quello. Questo arriva a costituire comunque quello che
potremmo ritenere un effetto ancorché potentemente spesso posto in essere da
chi, appunto, non sia pervenuto ad una visione generale per la quale essere.
Proprio il rapporto tra esse due situazioni contemplate
ovvero quella nella quale è presente l’altro e quella di chi, nella
particolarità posta in essere, si ritiene di non condividere quello ritenuto
appartenergli come appunto un bene esclusivo, porta a fare in modo che, allora,
infatti, che a disporsi sia quella chiusa, l’altra non intervenga. I
posizionamenti tuttavia, da parte di esistenti incentrati su tanto possono
risultare vari e tanto in base agli elementi che arrivano a determinare un
individuo a cominciare da un intelletto e, soprattutto, da una cultura
acquisita. Per tali elementi infatti arrivano a essere approntate sia difese
che atteggiamenti atti a non urtare con quanto da una società in genere
accettato. Il problema, in questo caso, non appare risolto ma solo aggirato
integrando i termini fino al punto da risultare smussati ed infine posti in
essere in modo tale da non cozzare contro la suscettibilità generale. Un
ulteriore fattore è rappresentato da comportamenti e da considerazioni, dunque,
per i quali si possa ritenere o meno di perdere esso oggetto. Se qualcuno ad
esempio reputasse che una relazione fosse incentrata su qualità particolari,
quali magari un bello, allora che a configurarsi di fronte fossero elementi
ritenuti non al livello proprio potrebbe non innescarsi essa preoccupazione. A
restare per continuare a minare il rapporto potrebbero ancora essere elementi
particolari e comunque tali da inserirsi sulla restante parte. Una persona,
così legata ad un ricco potrebbe ben non intraprendere una relazione con
un’altra e però sottrarre da un tale rapporto mancato quanto ancora e
diversamente possa appagare. Non appena, tuttavia, quella disposizione aperta
arrivi a far sentire la propria voce e prepotentemente a dispiegarsi è vista
quella tensione continua volta a perseguire costantemente l’allontanamento di
ogni elemento che possa richiamare essa violazione, appunto, temuta. Alquanti,
infatti, appaiono presentarsi con una certa apertura solo perché stimano non
essere investiti da quella problematica portata dalla sottrazione di esso
oggetto. La tutela, altresì, da parte dello stato venuto a costituirsi talvolta
non sembra bastare a coprire quanto reputato da conservare da parte di quelli
che, oramai, non arrivano a posizionarsi in una consapevolezza dei termini
effettivi. Costoro sono portati a vedere coloro che possano inserirsi quali
nemici dai quali difendersi approntando quindi le “valutate” fortificazioni.
Diverso, tuttavia, il discorso che arriva ad interessare
coloro che risultassero più o meno coscienti della relazione posta in essere.
Su termini stabiliti si troverebbero a disporsi ritenendo che un tale rapporto,
poiché concordato, sia da portare avanti. Se l’altra di fronte è considerata una
persona affidabile, capace, quindi, di mantenere l’impegno, essa gelosia
sembrerebbe dispiegarsi solo in potenza ovvero in considerazione del fatto che
l’apparato sul quale si è convenuti non possa saltare essendo ritenuto quello
supportare esso impegno. Tanto arriverebbe a costituire una sicurezza per colui
che comunque si dispone ancora come individuo e tale da beneficiare della
configurazione di fronte. Costui sarebbe ancora pronto ad esplicitare le
proprie richieste al variare del termine di esso rapporto, fatto questo che
risulta facilmente constatabile per le valutazioni che ad ogni occorrenza
assumono la configurazione di quell’apostrofare prodotto dopo che una relazione
si sia interrotta e che sono viste subentrare ad espressioni diametralmente
opposte. Sembra che tutti i pregi in precedenza sciorinati si siano commutati
in difetti che girano intorno in un modo più vorticoso e pesante di quelle
statue di cui già parlava Socrate.
Vi è bisogno, dunque, che l’individuo arrivi a dispiegarsi
quale soggetto ovvero che pervenga al punto tale da superare oltre che
accettare eventi che dovessero presentarsi ed attenere quindi sia e soprattutto
al soggetto di fronte, fatto questo che, con l’universalità che porta con sé,
dovrebbe portare a quell’incontro al di là delle particolarità che anche in
caso la “controparte” si rivelasse fuori da un tale discorso. Sarebbe, infatti,
esso, nella generalità da cui osserva a comprenderle l’altro. Ove tanto non
accada il discorso non può che tornare sull’individuo incentrato su
particolarità dispiegantesi di fronte ad altre e variamente componentesi per i
fattori più vari e al di là stesso di quanto da una società portato e da norme
prescritto. Ciascuno vedrebbe ricadere su di sé quanto pure è visto interessare
l’altro. In un tale contesto a supportare non sarebbe una ragione ma un
intelletto richiamato per ottenere effetti rispondenti a spinte egoistiche o
comunque tali da non potere accampare pretese maggiori di altre che ad ogni
occorrenza pure puntualmente condannate.
Tanto è constatato accadere prima ancora che a risultare
interessata sia una libertà la quale, altresì, intervenendo, senza possibilità
di essere compresa, né, al contrario essere sostenuta, al punto da potersi
scientificamente dispiegare, non risultando, dunque, in un modo quale che sia
ancorata potrebbe stravolgere o annullare lo stesso intero e precario sistema
posto in essere. Proprio questa arriva a essere posta all’angolo e, infine,
ricacciata o, al contrario, richiamata perché supporti quanto altrettanto
individualmente ritenuto legittimo perché posto
in essere ed incentrato su costrutti di parte e tali da presentarsi
quale un sistema compiuto o da aprirsi per includere quanto occorra per
continuare sgombrando al contempo la strada da quanto ritenuto ostacolare
impedendo quella libertà reputata attenere nel modo più sacrosanto possibile quanto
ritenuto fare da riferimento e unico da colui che si è legittimato quale
esistente e che sta portando avanti il discorso che ha organizzato.
Appare evidente che si tratta di coniugare non i vari termini
in modo empirico ma essa libertà determinante il soggetto per una universalità
a essa corrispettiva con un impegno assunto che non può risultare altrettanto
universale nel momento stesso che risultasse ancorato a fattori particolari
quali elementi che venendo meno porterebbero all’annullamento di quello che su
essi era stato costruito. A risultare interessata è, dunque, quella apertura
caratterizzante esso soggetto nelle stesse relazioni che perviene ad assumere.
Va da sé, quindi, che iniziative o comportamenti che non
considerassero l’altro nella sua universalità si troverebbero a fare leva solo
su quanto attiene ad un individuo che magari pure ha recepito l’altro per una
assunzione magari e però non totale ovverosia in una generalità e soprattutto
di comodo poiché incentrata appunto sul proprio sé e su quanto, così come
portatore di questo, venuto a dispiegarsi. Ad interagire, fino, all’occorrenza
a sostituirsi, sarebbero configurazioni più o meno ampie e ancoraggi su
richieste strette ovverosia particolari ed esclusive. Da tanto ad emergere in
molti casi sono vite e relazioni.
Allora che una settorialità prenda il posto di quella
generalità, solo per la quale il soggetto con l’universalità, la libertà e
quanto da una ragione oltre che da una sensibilità portato, a derivare non
possono che essere effetti, i quali, così come particolari e dunque limitanti,
si dispiegano innanzi ad altri particolari e soprattutto non riconoscendo quanto
può rientrare al punto da permettere un incontro. A dispiegarsi, infatti e
variamente, al di là di tanto, è ciò attiene a quanto incentrato su un ego o
ancora su istinti ed avvertire sparsi nonché più o meno compositi.
Appare evidente che se l’intero discorso si gioca sui sentire
propri di ciascuno e non ancora quantomeno sugli affetti, per i quali il
riferimento arriva a essere costituito dagli altri, a dispiegarsi sono solo
richieste che reclamano di essere esaudite e che non possono, come tali dare
spazio a quanto, di fronte, pure chiede di essere ascoltato e spesso risulta
addotto come un fatto portante all’incontro e però posto in essere così come
particolare. Il discorso si complica fino ad indirizzare ad una risoluzione più
marcata allora che quella stessa persona che si era espressa in un rapporto,
questo stesso chiude senza ritenere di dovere comunicare alcunché: il sistema
ritenuto da valere è quello proprio che con argomentazioni si tenta di
legittimare quando non semplicemente ed assolutamente lo si valuti l’unico ed
ineccepibile.
Tanto accade allora che si lascia intero spazio a quanto di
volta in volta avvertito. Al fine di non soccombere alle particolarità che
queste portano propriamente con loro si tratta di impostare le relazioni ad un
livello diverso, ovvero generale. Quegli stessi sentire, dunque, non possono
non risultare inseriti in una sensibilità e recepiti da quella ragione,
entrambe universali per le quali quello di fronte è considerato un soggetto nel
quale arriva a trovare spazio, fino a coesistere quanto non può inficiarla.
Solo una volta, dunque, considerati, per essa ragione e per
essa sensibilità, gli altri appare possibile porre in essere un qualcosa di
specifico che arriva a connotare un esistente quale essere che non urta,
appunto, con quanto perviene a configurare un soggetto. Anche nel caso, dunque,
più forte e dall’innamoramento rappresentato non può risultare cancellata
quella visione generale a sensibilità e ragione rispondente. Una tale tematica
è stata affrontata specificamente in Giuseppe
Addona, Sensibilità e ragione, Bonanno editore.
Una legittimazione, in ogni caso, non può che derivare dalle
possibilità di mantenimento di quanto pure incentrato su esso individuo quale
esistente con le esplicazioni che lo caratterizzano. Solo in una tale posizione
appaiono trovare spazio quelle stesse effusioni con quel piacere che arrivano a
portare con loro e però nella consapevolezza di non essere scisse da una
generalità. Queste non possono, comunque, essere viste quali estranee da
chicchessia che si trovi a considerare quelli di fronte soggetti e a esso
stesso rispondenti come tali. In caso contrario si inserirebbero essi stessi
come particolari cessando di essere soggetti. Una volta posta in essere essa
generalità appare facile distinguere quanto di particolare, per il resto, pure
arriva a presentarsi consentendo, all’occorrenza, di sacrificare quello che è
constatato particolare rispetto a quel soggetto dall’universalità portato.
Diversa una tale dimensione dallo stesso discorso costituito da un sistema nel
quale si convenisse. Se da questo possono essere desunti i termini pure esso,
derivando da particolarità, non potrebbe, in ultimo, che a queste rispondere diversamente,
dunque, da quella dimensione da una ragione e da una sensibilità costituita, le
quali si esplicano come contenuto e forma insieme ovvero si dispiegano come
universalità che si esprime come realtà. Essa universalità, formalmente
avvertita, si esplica come pratica nella modalità, appunto, categorica, per
quanto concerne la ragione così come già da Kant colta e, possiamo aggiungere,
rappresentante un tutt’uno per essa sensibilità che recepisce quanto rileva
specificamente come proprio. L’altro, per questa, infatti, non rappresenta un
estraneo ma quanto a essa inerente.
Se il ritenere, infatti, in un apparato dispiegato, che
specificità possano sussistere appare più facile poiché a risultare delineati
sono i riferimenti, pure per il resto, proprio questi vanno ad interrompere
essa universalità che si esprime come forma generale da una ragione posta in
essere e quindi come sensibilità, le quali, aperte per la stessa disposizione,
non trovano limiti esplicandosi puntualmente per la generalità a loro propria.
Quanto, in caso diverso, può risultare valido in un
sottogruppo si trova a dipendere solo dal fatto che esso gruppo maggiore non ne
risenta perché soprattutto lasciato a rapporti ritenuti personali tra cittadini
e però tali da non inficiare il sistema in essere. Appare trattarsi, in ultimo,
di sintesi e di compromessi inclusi in esso sistema e però non invalidanti
questo stesso. Tanto però appare rappresentare un’isola che è vista infrangersi
non appena ad intervenire siano elementi, appunto, dirompenti. Le relazioni,
infatti, non possono essere confinate al sottogruppo né mantenersi su termini
non portanti nel discorso più largo.
Se in un siffatto discorso si trovano a rientrare le stesse
modalità per le quali quanto esplicato non urti con i soggetti diversa è
tuttavia la validità che ne consegue e soprattutto interamente differente quel
sostegno che, all’occorrenza rende veramente liberi quelli di fronte perché è
lasciato loro quello spazio dall’universalità portato. Nell’altro caso a
garantire è chiamato il sistema dal quale non sono escluse esse particolarità
che a volte si sovrappongono ed altre reclamano una indipendenza posta in essere
contro esso stesso intero sistema.
Da considerare è altresì propriamente il fatto che non appena
qualcuno si ponga per difendere quello che reputa un bene acquisito e tuttavia
sottraibile si dispone già per tanto a quella lotta che magari non arriva a dispiegarsi,
al momento almeno, e per le motivazioni che a uno stato rinviano e che si
presenta con una sua forza in vari termini espressa, ovvero a quella guerra da
condursi con altre armi o solo trasferita affidandosi a quegli strumenti
ritenuti tali da non impegnare esse leggi o evaderle.
Senza addentrarci in esempi dei quali sono piene le
rappresentazioni teatrali e le letterature riguardanti personaggi grotteschi,
poiché visti lottare costantemente contro possibili eventi senza potere trovare
tranquillità e brancolando dunque in un buio e particolare e tanto distanti da
quanto ritenuto effettivo dal resto della comunità, al punto da suscitare
ilarità, appare che sia tanto che situazioni meno drammatiche ritenute da un
senso comune o da una voce di popolo ma comunque effettive e che tanti segni
lasciano in una società, ancorché non sia vista immediatamente lacerata,
possano risultare allontanate solo in quella dimensione universale ed
intersoggettiva nella quale procedere senza che altro riferimento possa prendere
quel posto. Solo in essa universalità, dunque, non vi è da temere alcunché
poiché, se essa dipende per gli effetti pratici da ciascun componente in essa
società, per il resto, non può essere sottratta perché a dispiegarsi o sono
soggetti universali che quella non inficiano ma sostengono per la propria parte
o individui che, come tali, possono anche portare via con la forza o con altri
mezzi qualcosa non però quell’universale annullare. Questo, come tale, non può
essere sottratto anche se in questo caso una pratica non è vista corrispondere,
così quale un fatto sensibile ed effettivo, che pure potrebbe e dovrebbe
risultare associato a quella universalità. Ancora una volta, nel momento stesso
che tanto si avveri, a dispiegarsi sarebbero esse particolarità approdate o
meno sistemi ristretti o contraddittori.
Essa universalità se non può risultare distrutta poiché non dipende da
tanto pure si presenta impossibilitata a relazionarsi intersoggettivamente con
coloro che si pongono fuori e azioni contrarie producono. Essa formalità, per
quanto si dispone fuori o si proietta contro, risulta impossibilitata, così
come è costretta a constatare, a coniugarsi.