Allora che per intelligenza si intenda la capacità a
collegare appare evidente che un programma possa essere predisposto così che,
dati alcuni parametri, a conseguirne possano essere termini, ovverosia relazioni
richiamate perché rispondenti ad un tutto già approntato. Il discorso non muta
allora che al posto di una base, che possiamo ritenere fissa, si inserisca la
possibilità di elaborazione della stessa. Tanto a dire che un programma può
procedere in quella che possiamo ritenere una ricomposizione di se stesso. Questo
non può avvenire che ancora per parametri impostati. Diverso il discorso che
riguarda esso pensiero il quale appare esprimersi oltre tutto ciò.
Cosa rappresenta dunque un tale pensiero? Potremmo rispondere:
la possibilità di spingersi, quale attività, oltre tutto quello che è stato
programmato. Se anche tanto appare, in ultimo, interessare una intelligenza
artificiale, pure, esso pensiero arriva a distinguersi per il fatto che essa
attività che esprime risulta ancorata ad un soggetto che si dispiega ponendosi
rispetto agli altri come pratica da un universale discendente. Anche un tale
discorso, tuttavia, potrebbe essere impostato e però da esso pensiero, il
quale, in questo caso, verrebbe a connotarsi specificamente quale ragione.
Questa, infatti, si trova a fondare e ad esprimere se stessa in quella
generalità da cui la restante parte non può che dipendere.
Esso si presenta come quel qualcosa che, non definito se non
da se stesso, giunge a configurarsi come principio che riesce a riconfigurarsi
e, nello stesso tempo, a riconoscersi nei suoi stessi mutamenti, ovvero
sviluppi, risultando di tanto consapevole, così come elemento anche in una
corresponsione con un essere che perviene in siffatti termini a pensare. È il
pensiero a disporre se stesso e a produrre, quindi, tutti gli eventuali
programmi che da esso prendono inizio sia a livello teoretico che, soprattutto,
pratico. Anche allora dunque che un programma fosse tarato per rifondare se stesso
si troverebbe a rispondere a quell’impostazione di base da esso pensiero
costituita e posta in essere. Da una programmazione, anche aperta, a non
emergere sarebbe quel qualcosa che, non definito da alcunché se non da se
stesso ancorché in risposta a termini che arrivino a dispiegarsi, non
condurrebbe a ciò da cui comunque si trova a dipendere. Si tratta di essa
attività rappresentativa, appunto, si esso soggetto che non è fissato da altro,
diversamente da quanto accade ad un programma complesso e proiettato per
reimpostarsi quanto si voglia.
Questo potrebbe riconoscere sia se stesso che uno sviluppo
non ancorato su termini che possiamo ritenere primitivi potendo procedere su
ciò che, via via, venisse a dispiegarsi e però anche tanto non potrebbe che rispondere
all’impostazione per la quale è stato avviato per percorrere una tale strada.
Il suo stesso riconoscimento non può esulare dai termini dai quali si è mosso.
In caso contrario a irrompere, fino a fa far scoppiare l’intero sistema,
sarebbero sdoppiamenti che non consentirebbero più un riconoscimento. Esso, in
ultimo, sfuggirebbe a se stesso.
Il pensiero, che non procede, dunque, né solo su variabili né
su costanti ma su quanto riesce ad esprimere in una libertà, risulta
consapevole di se stesso e dell’approdo cui, di volta in volta, perviene, senza
cessare, quindi, in quella sua identità ancorché dinamica per quanto arriva a
dispiegare nella sua stessa evoluzione. Essa attività si riconosce nello stato
in cui è approdata costituendo e comunicando esso soggetto. Tanto sia a livello
teoretico, per ciò che arriva ad esprimere al punto da risultare non solo
riconoscibile ma tale da fare da riferimento ai termini che va a collegare e,
quindi, ad attribuire, e sia e soprattutto quale elemento di quella umanità
universale, portante non solo un sistema ma quell’essere per il quale esso
pensiero, come ragione, si riconosce e reputa di essere conosciuto. Quella, che
non risulta confinata, pure si esprime come libertà che scientificamente giunge
ad essere colta. Per un approfondimento della tematica si rinvia al mio lavoro La determinazione sociale dell’individuo eDimedia,
liberamente consultabile sul sito giuseppeaddona.tripod.com
Ove un programma riuscisse ad esprimere tanto arriverebbe a
pensare una libertà non però a fondarla e a farla rivivere dandole quell’essere
incentrato su un soggetto tra soggetti. Essa libertà, dunque, così come
principio, non può che derivare da quel soggetto che arriva ad avviare anche un
tale programma.
A tanto si aggiunge quel sentire generale, il quale, benché
possa magari, a propria volta, risultare programmato, prende il suo essere da
quella sensibilità che connota l’uomo che avverte l’universalità fino a porre
in essere unitamente alla ragione quel soggetto. È questo che dà l’avvio a quel
processo che può anche essere predisposto ad avanzare su una via autonoma e che
però è stata prevista da quel soggetto che ha affidato a essa “intelligenza
artificiale” un tale compito che può proiettarsi fino a tracciare nuove strade
e però controllabili da colui che lo ha avviato. In caso diverso potrebbe, un
tale sistema, trovare elementi e però tali da rappresentare non quel soggetto
che si pone in essere per quella generalità nella quale ritrovare gli altri.
Fuori da tanto e oltre tanto a presentarsi possono essere termini rispondenti,
però, ad un individuo quando non ad altro ancora.
Essa intelligenza artificiale, ove in contrapposizione,
porterebbe alla scomparsa di quell’essere uomo dal quale è stata costruita per
rispondere ad esigenze alle quali non può che sottostare quell’universalità per
la quale si può parlare di umanità ovvero di soggetto in rapporto per essa
ragione e per essa sensibilità.
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