Analizzando la figura dell’operaio,
Marx afferma che questi, durante il processo produttivo, si estranea dalla
merce che produce, in quanto non la genera per se stesso né sa che pezzo è né
chi lo ha ideato né a quali altri pezzi sarà assemblato. Potremmo paragonare questo
processo di alienazione che interessa l’operaio a quello posto in essere da un docente,
che nel momento in cui spiega senza mostrare come il fatto emerge, produce
anch’egli un lavoro che estrania e che si riversa sull’alunno, benché quello
possa sembrare soddisfatto di avere propinato qualcosa che giunge a ritenere come
cultura e al punto magari da farlo sentire anche piuttosto importante. Un
discorso simile appare interessare quel discente che si compiacesse di vedersi
riconosciuto con un voto il lavoro profuso ad acquisire una siffatta mole di
elementi. Non dunque una cultura pagante per se stessa ma conoscenze alle quali
arriva ad essere assegnato un riconoscimento.
La seconda fase di alienazione che
Marx analizza è quella che interessa l’operaio stesso ovvero il suo essere.
Portando avanti un lavoro estenuante oltre che estraniante, l’operaio arriva a
negare se stesso che non trova infatti corrispettivo alcuno per rilevarsi al di
là di tanto. Se l’unico posto per affermare se stessi è per gli operai fuori
dall’ambito lavorativo pure in una tale situazione non trovano alcunché per cui
realizzarsi. Sollo allora, dunque, che risulti possibile riconoscersi come
esseri e non quali macchine produttive ci si può incontrare con gli altri per
un rapporto intersoggettivo. Ove tanto non accada come appare possibile altresì
riscontrare in alcuni impiegati, i quali pur non svolgendo un lavoro
interamente alienante pure non riescono a trovare se stessi per elementi che
possano supportarli quali soggetti riconoscibili. Proprio costoro avvertono
fortemente il bisogno di evadere, di viaggiare, di esprimersi in superficialità
ovvero di recuperare apparenze nelle quali immergersi quasi rappresentassero la
realtà nella quale ritenere di vivere. Essi sembrano autoconsiderarsi con il
porre in essere quanto anche da altri portato avanti. Tanto appare
rappresentare un loro meccanicismo al di là della macchia alla quale pure non
sono legati. Tornando all’esempio dei professori appare evidente che se costoro
non fossero soddisfatti del lavoro svolto giungerebbero, da un lato, a negare
se stessi e, dall’altro, fatto ancora più grave se tanto pure possa risultare,
a risucchiare gli alunni in un tale prodotto che, esterno, non potrebbe che
arrecare, almeno in larga parte, fastidio.
Un altro grande problema della
società è rappresentato dall’individualismo, contrario a quell’umanità nella
quale a rientrare sono gli altri. Umano, infatti, è colui che percepisce
l’altro uomo e spesso ogni altro essere come se stesso, immedesimandosi fino a
compiangerlo in caso venga a trovarsi in una situazione spiacevole.
Un’altra contrapposizione che si
viene a creare consequenzialmente alla mercificazione dell’operaio è quella
rispetto ad altri uomini. Allora che l’unico obiettivo dell’operaio sia quello
di lavorare per guadagnare il sostentamento necessario alla propria esistenza
egli è visto restare totalmente estraneo al rapporto con gli altri. Egli non
trova né tempo né elementi per potersi relazionare al di là dunque di quello
stretto ambito esistenziale nonché sulla famiglia incentrato, non dandosi
possibilità di allargamento alcuno di quelle relazioni che arrivano ad
interessare un essere tra gli altri che consapevolmente e liberamente si
esprime. La merce, ove a non darsi sia una coscienza di presentarsi per essere,
diventa il metro con il quale ci si valuta e così tanto padrona della vita
dell’uomo al punto che, se qualcuno vede che qualcun altro ha qualcosa in più
di lui, rincorre questo dal quale ritiene dipendere una sua consistenza perdendo
proprio il suo essere più peculiare pura.
LEZIONE DEL PROF ADDONA RIPORTATA DA CHIARA
DE MIZIO, IIIC
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