IL MENTITORE
EPIMENIDE CRETESE AFFERMAVA CHE TUTTI
I CRETESI ERANO BUGIARDI
Appare evidente che Epimenide, essendo cretese, non possa che
produrre una bugia. Da una tale sua posizione consegue, altresì, che l’affermazione
da lui proposta dovrebbe risultare falsa: a derivarne sarebbe l’opposto di
quanto espresso, ovvero che i cretesi non sono bugiardi. Da ciò il dilemma che,
risolto da Russell, è stato emblematicamente delineato in termini simbolici da
Cocchiarella. Il caso è stato, altresì, specificamente affrontato nel libro:
Giuseppe Addona Percorsi di filosofia edito da G. Laterza Bari.
La risoluzione, da Russell prodotta, è stata resa possibile
dalla posizione fuori dal sistema di colui che si esprime. Un cretese, dunque,
non può affermare: tutti i cretesi sono bugiardi poiché a derivarne sarebbe il
dilemma di cui sopra. Possiamo tuttavia aggiungere che anche Epimenide potrebbe
risultare in una tale posizione esterna allora che, benché cittadino di Creta,
non rientrasse oramai tra coloro ai quali applica un tale giudizio. Nel momento
stesso che si rendesse conto che i suoi concittadini si siano rivelati bugiardi
e che si indirizzasse su altra strada lo porterebbe a distinguersi, non appartenendo,
a questo punto e sotto un tale aspetto, a una siffatta comunità, della quale
enuncia un fatto.
IL SORITE
Quanti chicchi di frumento occorrono per formare un soros ovvero
un mucchio? Risulta evidente che un chicco non sia da ritenere un
mucchio. Questo, infatti, è reputato un insieme di quelli ovvero costituito da
un numero piuttosto grande e però non definito, così che l’aggiunta di un
granello non appare né apportare né risolvere la concezione di esso mucchio. Il
problema risulta incentrato sul passaggio non individuabile, così come accadeva
a quella divisione già contemplata dal discepolo di Parmenide, né, altresì,
denotativo di quel concetto. Un siffatto discorso rientra nella concezione che
non può risultare definita per l’intervento di un elemento che vada ad aggiungersi
agli altri, unitamente ai quali deriva una significazione ritenuta e però non
tale da non richiamare altro che rappresenta l’aggiunta. L’insieme non arriva a
costituire in alcun caso essa significazione. Per il resto, questa è necessaria
alla comunicazione, la quale, benché risulti aperta, ovverosia tale da
contenere quanto non recepito unitamente ad altri e per quanto questo stesso
possa pervenire a configurazione intersoggettiva e che, in questo caso, risulta
dalla ritenzione piuttosto comune, e però sempre parziale per quanto ampia
possa delinearsi una convergenza sugli elementi posti in essere, pure risulta
la condizione portante ancorché nei termini non interamente adeguati.
IL CALVO
Il discorso precedente vale per i capelli. Sottratto,
infatti, uno a questi non porta a ritenere l’interessato da un tale fatto un
calvo. Si può continuare così togliendone due o quanti si voglia. A non restare
individuato è, anche in questo caso, il passaggio per il quale ad emergere
possa essere il concetto, pure, per il resto, ritenuto. Questoè, infatti, non
contempla una definizione netta. A non risultare interessata è, infatti, ancora
una quantità data.
IL VELATO
Conosci colui che si avvicina con il viso velato? No. Se si
scopre il volto lo conosci? Si. Conosci e non conosci, dunque, la stessa
persona.
Per risolvere un tale “dilemma” appare sufficiente già l’individuazione
aristotelica. Le configurfazioni si dispiegano, infatti, in un tempo diverso e
per aspetti diversi. In un tempo t1 a presentarsi è una persona
velata e in un tempo t2 quella che riteniamo la stessa, per gli
elementi che permangono, con il viso scoperto. A restare è tuttavia il problema
rappresentato dal legame, così come accade ogni qualvolta si tenta di
attribuire un qualcosa ad altro, ovvero di far leva su una causa, fatto questo
che non può essere intuito ovverosia colto come da Hume sarà constatato ed
esplicitato.
A essere mantenuto fermo, in ogni caso, è colui che si
ritiene lo stesso prima con il viso celato e poi scoperto.
IL CORNUTO
Ciò che non hai perduto lo hai. Ma non hai perso le corna
quindi le hai.
In questo caso la risoluzione di quella che può essere reputata
una antinomia si presenta piuttosto facile. L’uomo non aveva le corna e quindi
non le aveva perdute così che queste possano continuare ad appartenergli. Il
discorso risulta incentrato su una generalità nella quale è fatto rientrare un
caso specifico. Si tratta di quello che è possibile ritenere un inserimento non
appropriato e portatore del falso.
L’EMPIETÀ CHE CARATTERIZZEREBBE I
SACERDOTI
Colui che rivela i misteri ai non iniziati è un empio. Il
sommo sacerdote rivela i misteri ai non iniziati, dunque il gran sacerdote è un
empio.
Il “dilemma” è portato dalla concezione ovvero, più
specificamente, dalla mancata definizione sia di quelli che sono veicolati come
misteri che di coloro che sono ritenuti gli interessati ai quali questi sono
trasmessi. Una volta sono ritenuti misteri quegli elementi da non divulgare
all’esterno e un’altra a fare da corrispettivo sono i cittadini ai quali un
tale sacerdote si rivolge con un rito considerato legittimo. Quanto professato
come atto, in primo luogo se non esclusivamente, in un tempio rappresenta,
infatti, quello che di religioso al popolo è partecipato; nell’altro caso
quanto deve essere tenuto lontano dalla portata della comunità intera,
risultando riservato solo agli adepti.
IL TROVARSI O MENO DI QUALCUNO IN UNA
CITTÀ
Se uno è a Megara non è ad Atene. Ma c’è un uomo a Megara
quindi non c’è un uomo ad Atene.
Nel primo caso si tratta di un qualcuno indicato come tale
ancorché, per il resto, non definito: tanto risulta dal pronome. Una stessa
persona, infatti, non si trova insieme in una città e in un’altra. Nel secondo a
risultare espresso è un nome denotante un genere. Uomo infatti è sia qualcuno
che si trovi a Megara e sia ad Atene, fatto questo che non solo non è in
contraddizione ma appare constatabile così che Socrate, in quanto uomo,
potrebbe stare ad Atene e Aristocle, ancora uomo, a Megara.
IL TROVARSI O MENO IN CITTA’
Ciò che non è in città non è neppure nella casa. Ma non vi è
un pozzo nella città quindi non vi è nemmeno nella casa.
In questo caso per pozzo in città si intende un pozzo
visibile ovverosia presente in questa magari adibito ad uso pubblico e quindi
collocato in una strada o in una piazza, fatto questo che si configura nella
sua diversità rispetto ad un pozzo privato perché in una casa. Tra il privato e
il pubblico, non risultando contemplato questo in quello, arriva a dispiegarsi
una tale antinomia.
IL DILENMMA DEL COCCODRILLO
Un coccodrillo, che aveva rubato un bambino, promise alla
madre di questo di restituirglielo se avesse indovinato la sua intenzione. La
madre rispose che quello non l’avrebbe restituito. L’animale, che voleva
tenerselo, a questo punto, si trovò di fronte ad un dilemma. In base al patto,
tenuto conto che la madre aveva individuato le intenzioni di quello, avrebbe
dovuto restituirlo. Restituendolo avrebbe però reso falsa l’affermazione della
madre.
Il discorso si presenta di ordine filosofico ovverosia
necessita di riflessioni perché si possa addivenire ad una riconduzione del
problema ritenuto per secoli insolubile.
Proviamo a muovere dal coccodrillo rappresentante un
riferimento. L’animale avrebbe potuto mangiare il bambino e invece pone in
gioco un tale fatto disponendosi in una relazione con la madre del bimbo. Tanto
significa già superare la semplice posizione precedente. Egli non può dunque
non pensare, a questo punto, in funzione dell’altro riferimento, dalla madre
costituito. Constatata valida la risposta, dovrebbe restituire il bambino.
Diverso, invece, il discorso nel momento stesso che a essere assunto sia
l’altro riferimento, dalla madre del bimbo costituito. Questa, però, dicendo il
vero, sembrerebbe legittimare il coccodrillo a procedere in tal senso. In tal
caso però a risultare annullata sarebbe la posizione di esso coccodrillo che
aveva messo in conto la possibilità diversa costituita dal non tenere il
bambino allora che la madre di costui avesse indovinato l’intenzione che,
tuttavia, dobbiamo ritenere superata dalla comunicazione posta in essere.
Il discorso si presenta ancorato, dunque, a due termini. A
dispiegarsi è quello che, altresì, potremmo reputare un sistema chiuso nel
quale un passaggio tra quelli non è risolto. Ad intervenire è infatti una volta
una esplicazione ed un’altra l’altra.
La madre del bambino, ritenendo che il coccodrillo volesse
tenerselo, appare riferirsi all’animale che, già intenzionato a tanto, pure
arriva a metterlo in discussione. Ciò a significare che la madre si riferisse
alla prima intenzione di quello che però risulta messa in gioco. Da ciò
dovrebbe derivare la conclusione.
Ove a valere fosse, dunque, la considerazione della madre,
l’animale dovrebbe procedere in tal senso. In questo caso però a crollare
sarebbe l’intero apparato dal coccodrillo posto in essere e incentrato sul
primo riferimento. Una volta il discorso risulta imperniato sull’intenzione,
che potremmo ritenere di base, ossia sulla natura del coccodrillo di tenere per
sé quanto predato e un’altra sul discorso al quale pure esso coccodrillo si è
affidato.