Non è poi così difficile filosofare, riuscendo ad ottenere anche risultati inaspettati, ti sembra?
martedì 29 maggio 2018
giovedì 3 maggio 2018
LA DEFINIZIONE DI CULTURA
Molte potrebbero essere le definizioni
di cultura. Sicuramente da ritenere per eccellenza da parte soprattutto di uno
studente è quella che riguarda ciò che rimane dopo aver studiato. Dopo avere
dimenticato alquanti fatti specifici a restare è una logica generale incentrata
su un discorso dal quale potere accedere ai particolari attraverso il
riconoscimento o soprattutto una reimpostazione della via tracciata e fatta
propria da un pensiero che l’ha elaborata. Cultura, così come condizione, è
anche quella di sapere da chi imparare. Tanto significa già riconoscere gli elementi
portanti così come richiesti. La scelta, dunque, dei maestri, là ove possibile,
risulta già da una impostazione. Potrebbe accadere tuttavia che, allora che
dispiegate alcune configurazioni, si pervenga a risultarne interessati. In tal
caso essa scelta appare derivare dalle proposte che comunque devono essere
riconosciute nella loro validità. La definizione di cultura può soprattutto
essere riassunta anche nella celebre citazione di Aristotele ancorché ad essere
usata sia la lingua latina: verum scire est per causas scire. Conoscere, in
verità, - che potrebbe anche essere omesso - è il conoscere attraverso le
cause. Sempre per questo filosofo una delle poche cose che non si può insegnare
è la scelta del maestro che dipende già dalla capacità del giovane e non solo
che ha già individuato i termini per i quali chiede appunto un riscontro o, in
primo luogo, un potenziamento o ancora un dispiegamento in termini chiari e
supportati.
CHIARA DE MIZIO HA ELABORATO QUESTA
LEZIONE DEL PROF. ADDONA
LA SCELTA DEI GOVERNANTI
Come mai nei Paesi democratici
cosiddetti più progrediti giungono a verificarsi talune situazione piuttosto
difficili? In altri termini come è possibile che in alcuni Stati non si
riescano ad evitare ruberie e sacche di assenza dello stato di diritto? La
risposta che emerge più velocemente è quella che una parte dei voti è
indirizzata a candidati che si prestano ad assecondare esse spinte in un modo
piuttosto consistente presenti in alcuni cittadini e che i parlamentari da un
tale fatto interessati risultano poi determinanti alla formazione di una
maggioranza di governo. Appare evidente che condotta e disposizioni si trovino
a derivare anche da siffatte scelte. Non potremo aspettarci, così, che persone,
magari ladre o propense all’affarismo votino per elementi integerrimi. Gli
interessi di quelle infatti non possono che coincidere.
Ecco perché è importante che la
società sia costituita da cittadini consapevoli di un giusto e in grado,
quindi, di poter esprimere una società di diritto ovverosia legale e garante
dei vari componendi di essa. Partecipazione questa che non può prendere corpo
nel momento stesso che non si muova da quei termini intersoggettivi che
riconoscono la funzionalità di una società incentrata, appunto, sui vari
soggetti, fatto questo che porta tra l’altro a quella gestione aperta e responsabile.
Partecipare significa riconoscere sé tra gli altri, facendo emergere quanto non
fuorviante denunciandolo all’opinione pubblica, fatto questo che significa
comunicarlo agli altri soggetti con i quali si è in interazione così che
correzioni possano essere, immediatamente, apportate. Opposto il discorso,
dunque, a quello facente leva su interessi particolari per tutelare i quali si
viene meno a quella relazione portata da una ragione e da valere universalmente
almeno finché alla luce del sole non passino quelle richieste che si è soliti
chiamare politiche e sociali su particolari condizioni incentrate e che
arrivano a concretizzarsi per lo più in partiti e movimenti di diversa
impostazione.
Chiamati, dunque, ad esprimere il
voto non possono che volgersi a quanto arriva a rappresentarli. Altri che si
facessero adescare da falsi miti o da programmi allettanti, perdendo di vista
quello che già Platone riteneva il bene comune e che anche Aristotele reputava
che allora che eliminato a prodursi era il danno di coloro stessi che si
trovavano a governare per avere ottenuto una maggioranza. Proprio espropriando
la minoranza si gettano le basi per la disgregazione stessa di esso potere in
essere. In assenza di un riconoscimento degli altri, ancorché nelle diversificazioni,
ciascuno Stato prepara la propria rovina.
Emerge con evidenza, quindi, il ruolo
che la scuola deve svolgere e che è rappresentato dallo stimolare quella
consapevolezza critica che porta il giovane a diventare cittadino ovverosia
soggetto tra i soggetti in uno stato libero perché incentrato sulla ragione che
rappresenta quanto arriva in uno a collegare e a sostenere. Ove quella non
svolgesse un tale compito, non potrebbe ritenersi una “Istituzione” e tale
altresì da essere mantenuta a spese dello Stato, ovverosia della collettività.
Tanto dovrebbero considerare coloro che la costituiscono e che si trovano a
beneficiare dei suoi mezzi. Tocca a
essa, dunque, anche correggere la disinformazione che è alla base degli errori
e di quelle stesse scelte che possono risultare devastanti sia il cittadino che
la comunità costituita.
La critica, quindi, condotta con i
giovani, deve poter ovviare soprattutto a tanto, fornendo i docenti quegli
strumenti idonei affinché ci si rivolga alla comprensione al di là degli stessi
termini in essere ovvero di quelli che arrivano a configurarsi quali fatti da
indagare, dunque, nella loro composizione ed effettività. A tutto ciò non può
che risultare legata la condotta di coloro che a scoprire una validità devono
indirizzare. Come potrebbe un giovane credere in una società giusta allora che
notasse una assegnazione di voti non consona al discorso critico portato avanti
o anche ai risultati ai quali ciascuno studente della classe sia pervenuto ma a
muovere siano conoscenze o favori quando non proprio, ci vogliamo augurare,
mercimonio a vari livelli? Basta fare mente locale a quegli Stati e a quegli
ambienti dove il cittadino partecipa con serietà ed impegno costanti e a quegli
altri invece in cui a prevalere siano populismi o, all’opposto, dittature. In
conclusione, “ognuno ha gli amministratori che si merita”.
Una lezione del prof. Addona riportata da
Chiara De Mizio, II C.
LA LOGICA DELL'INNAMORAMENTO
Può l’innamoramento rispondere a una
logica? La citazione del filosofo francese Jean-Jacques Rousseau “tutti
guadagnano l'equivalente di quello che perdono” può essere applicata anche alle
relazioni amorose? Perché tanto valga vi è bisogno che l'una persona dia
all'altra tanto quanto riceve. Nel caso in cui ciò non accada (ad esempio
allora che uno dei due dia meno di quello che riceve o addirittura nulla), il
meccanismo si inceppa e la relazione si complica fino ad arrivare ad una
conclusione. Eppure tanto può non valere allora che costu voglia avere l’altro
reputando di no poterlo sostituire ancorché non risulti ripagato come vorrebbe.
Si tratta di considerare l’oggetto del piacere così come possesso, di ritenere
l’altro tale da non chiedere nulla proponendosi in quella totalità e generalità
senza chiedere nemmeno una conferma o recepire il messaggio di ritorno al punto
magari che questo giunga a fare da supporto se non proprio da condizione.
Attraverso questi vari passaggi sembrerebbe dispiegarsi esso amore ancorché a
connotarlo specificamente si esso profondersi generale senza riservarsi di
chiedere alcunché al di là di quello tuttavia offerto e che con immenso piacere
è recepito. Viene da chiedersi: può tanto ancora valere dopo l’individualismo
al quale è pervenuta la società contemporanea che, per larga parte, come
sembrerebbe, ha infranto il vincolo con una universalità o, più propriamente,
si è posta fuori da una tale dimensione? Se ancora non si tratta specificamente
di una valutazione pure sembrerebbe che a prevalere sia una proporzione tra le
due cose, dare affinché si riceva, do ut des.
Nel caso altresì che qualcuno
crescesse tanto a livello umano spingendo la sua sensibilità ad una
universalità lasciandosi dietro gli altri, si troverebbe a dover relazionarsi
con persone che non potrebbero restituire quello che profonde. A risultare
svantaggiato sarebbe cioè proprio colui o colei che “hanno” di più. Gli altri
infatti si troverebbero a beneficiare di un tale “pacchetto” “offrendo” di
meno. Da tanto l’importanza di non crescere da soli ma insieme agli altri in
una intersoggettività nella quale a intervenire ma a distanza per godere sotto
l’aspetto teoretico è anche una intelligenza che può intervenire ma solo
all’occorrenza e per il resto lasciar “correre” ciò che come sensibilità arriva
ad esplicarsi e a trovare il proprio corrispettivo che però non può urtare con
l’impostazione di base. Per un approfondimento al riguardo può consultarsi G.
Addona, “Sensibilità e Ragione”, Bonanno editore o guardare il video in cui
Giuseppe Addona affronta il tema “Tempo e identità del soggetto” https://www.youtube.com/watch?v=YmxDR2PPeRQ.
Oppure cercando il canale YouTube
“Giuseppe Addona”.
Una lezione del prof. Addona riportata
da Chiara De Mizio, II C.
LA LEGITTIMA DIFESA
Nello Stato italiano, stato di
diritto (liberale, democratico e socialista) secondo la Costituzione, la
persona è SACRA e INVIOLABILE e non può essere perseguita se non nei termini e
nei modi previsti dalla legge. La vita dunque, ha la precedenza su tutto. Tanto
premesso, un ladro che entrasse in una casa non può essere ucciso, per recuperare
la refurtiva o impedirla. Tra i beni e la vita lo Stato tutela la vita che
ritiene molto più importante. Proprio però per il fatto che la vita è sacra e
inviolabile tale risulta anche quella del cittadino e degli altri familiari o
delle persone comunque presenti. Ove questi “innocenti” rischiassero di perdere
la vita e si trattasse di scegliere, allora e solo allora è possibile e
purtroppo da ritenere “doveroso” difendersi, anche se ad essere sacrificata è
ancora una vita. Su siffatte premesse appare evidente che, ove si potesse,
quella vita andrebbe risparmiata e conservata. Ove, infatti, si potesse fermare
colui che attenta alla vita di qualcuno senza procedere nell’atto che possiamo
ritenere finale, bisogna porre in essere ogni atto volto a tutelare senza
uccidere. Proprio tanto rappresenta la “ratio” che sottostà alla legittima
difesa. Si vede bene che il problema “prima” che interessare la giurisprudenza
è affrontato dalla filosofia, che potremmo ritenere anche, specificamente,
filosofia del diritto. Si tratta infatti di riconoscere e di applicare una
logica che arriva a essere legata a concezioni di ordine filosofico, ovverosia
razionale per fare emergere una validità degli assunti e di quanto a questi
coerentemente consegue.
Ogni qual volta dunque si oltrepassa
il limite così come delineato si eccede nella difesa e quindi si transita
nell’illecito, ovvero in quello che la legge prevede e contempla come reato. Si
vede bene che ove le condizioni e le concezioni fossero diverse potrebbe
emergere anche il contrario. Allora infatti che fossero la proprietà o
l’abitazione a essere ritenute inviolabili, a presentarsi sarebbe una visione
contraria. Su un tale assunto potrebbe essere giustiziato o sacrificato a
seconda degli ulteriori punti di vista colui che violasse un tale “sacrosanto”
diritto. Da tanto emerge l’importanza delle assunzioni ovvero dei termini per i
quali si opera. A presentarsi non è quindi un oggetto così come un assoluto di
fronte che, in quanto tale, già per Kant era inconoscibile ma quanto ritenuto
che risulta corrispettivo di quel fenomeno in esse condizioni. Speriamo almeno
di avere fatto emergere i termini per un giudizio avendo fatto leva su una
indagine filosofica che ancora una volta non possiamo che rilevare nella sua
enorme importanza quantomeno chiarificatrice.