L’etica è considerata in genere come
quel tendere ad una dimensione che richiede un grande impegno quando non
sacrifici, quasi si trattasse di un’altra realtà da raggiungere senza che ad
esserne scoperti siano i risvolti. Aristotele era, tuttavia, già convinto che
tutto l’agire umano fosse rivolto ad un fine da un bene rappresentato. Lo
stesso bene sommo non si trova in un altro mondo, ma in questo e perviene ad
essere identificato nella felicità. Per i filosofi antichi la felicità
consisteva, in genere, per l’uomo nel riuscire a realizzarsi al meglio.
L’etica e la politica hanno entrambe
come bene sommo la felicità. Per l’etica, però, questa risulta individuale,
mentre per la politica riguarda la collettività. Se la felicità è rappresentata
dal fine specifico dell’uomo, pure a variare sono gli obiettivi da un individuo
ad un altro. E’ lecito ancora parlare di uomo in generale? La stessa
considerazione di felicità non risulta dunque unica. Una persona che trovasse
il proprio appagamento nell’alcol potrebbe sentirsi felice ubriacandosi per una
vita. Simile il discorso allora che a essere considerati fossero obiettivi
diversi. La considerazione di felicità dipende dalle particolari visioni, da
una parte, e dall’altra dal giudizio prodotto da altri senza però che questo
possa inficiare quel comportamento e quella ritenzione. Ad una valutazione può
tuttavia emergere che colui che si inebria pure è in relazione con altri oltre
che con ciò che consenta a lui di procurarsi quel materiale. Da valutare sono
altresì i risvolti. È possibile esplicarsi in uno stato di continua ebbrezza? Ove
tanto non risultasse ad emergere sarebbero i risvolti da valutare al punto che
a essere chiamato in causa sarebbe l’insieme. Tanto a prescindere ancora dalla
relazione tra quanto possiamo ritenere attenere a una vita vegetativa, ai sensi
correlata, e soprattutto a una visione o, più specificamente, a una realtà
portata da una ragione, con un intelletto quale strumento ovverosia capacità a
cogliere individuazioni e ad apportare accorgimenti perché un obiettivo possa
essere raggiunto. Una virtù, dunque, non risulta avulsa da una ragione né
indirizzata a qualcosa di aleatorio o di teorico quasi rappresentasse una
evanescenza o anche un niente.
Si tratta di riconoscere, quindi, quanto
arrivi a rappresentare il meglio. Se i beni possono rappresentare un mezzo che
faciliti il raggiungimento della felicità, non possono però determinarla.
Questa, infatti, per Aristotele è vista dipendere da altro ovvero da quella
capacità atta a cogliere quanto risulti il più funzionale possibile per un uomo
che si esprima per determinate caratteristiche coniugate con quanto arriva ad
esprimere in una società. Una tale connotazione arriva a rappresentare quella
parte sulla quale interviene la ragione. Se una virtù, quella morale, si trova
a dipendere dai costumi, quella razionale consiste nella capacità di elaborare.
Eppure la ragione riesce ad individuare quanto possa risultare valido muovendo
dalla situazione economica e politica che arriva ad interessare un uomo. Ad un
politico ammirato e in possesso di un patrimonio vasto conviene l’essere
magnifico. Non può permettersi invece di spendere molto per il pubblico colui
che o non avesse risorse a sufficienza o non svolgesse un ruolo politico adeguato.
Si tratterebbe in questo caso di muoversi impropriamente quale un liberale e
quindi fuori da quanto constatato valido da essa ragione che arriva a valutare
i vari comportamenti posti in essere.
Né appare trattarsi, per Aristotele
di quel giusto mezzo pure ritenuto e però non quale a metà, e statico che
potrebbe essere indicato dall’espressione “in media re”, ma “in medias res”, ovvero
rintracciato in quel dinamismo. La liberalità, infatti, non è a metà tra la
magnanimità e la tirchieria, ma più vicina alla prima. Essa si presenta
comunque lontana da quell’avarizia ritenuta negativa. Liberale e magnanimo sono
entrambi positivi.
Da considerare è, altresì, il
piacere, come già per Platone, di potersi raffrontare con qualcuno che prenda
in considerazione colui che si propone e al quale potere trasmettere le proprie
emozioni e ricevere un messaggio di ritorno. Anche rapporti di tal fatta vanno
valutati. Ad emergere è che i bambini e
anche i giovani sembrano amici di tutti ed invece sono visti dimenticare i vecchi
compagni di giochi sostituendoli prontamente con i nuovi. Essi si realizzano
puntualmente nel luogo dove si trasferiscono con i loro genitori. I rapporti di
costoro non sono profondi né fondati, possiamo aggiungere, su virtù. Costoro
sembrano muoversi quasi da egoisti ponendo il gioco al primo posto con gli
altri che sono considerati necessari perché tanto avvenga. Gli anziani sono
ritenuti da Aristotele i peggiori. A costoro non interessano le vicende altrui
ma tendono solo a raccontare le proprie. Gli altri vecchi servono solo a
sostenere il sé degli altri. Anche l’amicizia vera è quella tra persone mature fondata,
questa volta, sulla ragionare comprendendo così quanto possono dare prima
ancora di considerare un corrispettivo da ricevere. Analogamente anche
l’innamoramento ha bisogno di ragione, altrimenti risulta affidato a quanto non
controllato in alcun modo, può alla prima occasione prendere una via qualsiasi
e diversa quando non opposta a quella sulla quale pure ci si era, con la più
grande passione e speranza, incamminati. A condizionare, in tal caso, sono i
vari elementi sui quali quello si regge senza che ad intervenire possa essere
quanto ulteriormente supportare. Tanto il professore Addona affronta
specificamente nel libro “Sensibilità e ragione” Bonanno editore.
Una lezione del prof. Addona
riportata da Francesco D'Andrea, I C.