Aristotele non si configura uno stato
ideale ma osserva gli stati in atto e trova che esistono alcuni sono
monarchici, altri tirannici, altri ancora aristocratici e quindi, oligarchici,
democratici e demagogici. Egli rileva che ogni stato allora che si forma è
positivo. Esso, dobbiamo ritenere, dà spazio, infatti, a ogni persona che trova
nella comunità il proprio bene che insegue con le azioni che nello stato porta
avanti. Lo stato è, dunque, la comunità più grande e importante. Aristotele è
convinto che lo stato non abbia bisogno di altro per vivere ovvero per esistere
come tale e ha come funzione di rendere possibile la vita. Lo stato esiste per
natura così come le comunità esistono per natura. L’uomo è, infatti, per natura
un essere socievole.
Lo stato monarchico si forma perché
qualcuno che diventerà re è il migliore e gestisce in funzione di tutto il
popolo. I figli di costui, invece che nascono già in una reggia senza aver
fatto sacrifici, pensano pian piano che sia un proprio diritto e usano quel
potere derivante dalla situazione venuta a crearsi per motivi personali facendo
transitare esso stato nella tirannide. Gli aristocratici, ovvero i migliori e
dobbiamo reputare a questo punto i virtuosi che hanno a cuore il bene comune,
non possono sopportare un tale fatto e fanno il sacrificio di allontanare,
rischiando anche la vita, il tiranno di turno, liberando, così, la città. Quando
i figli degli aristocratici prendono il potere, sperperano per loro stessi
svolgendo quel ruolo già caratteristico dei figli del tiranno. Il popolo, a
questo punto, si ribella e prende potere. Inebriato dal potere reputa di potere
ostacolare i maggiorenti e appropriarsi in una parte quale che sia dei beni di
questi. Aizzato, altresì, cade nella demagogia a sollevarlo dalla situazione
nella quale è finito è qualcuno che per la sua virtù arriva a svolgere le
funzioni di re e così il ciclo è visto ripetersi.
È possibile, viene da chiedersi,
spezzare questo circolo? A essere viste alternarsi sono virtù e quelli che
possiamo ritenere vizi fino a porre in essere tra stati corrispettivi alle une
e tre agli altri. A fronteggiarsi sono, in ultimo una virtù e la sua
degenerazione e però in coloro che non hanno prodotto per pervenire ad una
situazione politica. Tenuto conto che a essere stata rintracciata è una causa
rappresentata da un godimento di situazioni di fatto si tratterebbe, da parte
dei virtuosi, di far percorrere ai rispettivi figli quel percorso formativo
ovvero farli passare attraverso i sacrifici. Tanto implica una consapevolezza e
una forza da parte dei governanti sino, dobbiamo ritenere, a scoprire il
carattere dei loro discendenti per fare in modo che quanto ha rappresentato una
loro conquista non degeneri, fatto questo che implicherebbe il loro stesso
fallimento. La grandezza di un uomo sembrerebbe, a questo punto, consistere nel
sacrificio di giudicare i figli senza offrir loro quello che non appare
meritato. Un tale discorso era stato affrontato da Platone a proposito dei
filosofi che dovevano avere il coraggio di avviare ad una classe d’argento o di
bronzo quelli che non erano conosciuti quali uomini d’oro. Quanti genitori oggi
appaiono disposti a riconoscere i meriti di giovani che sopravanzano quelli dei
propri figli?
Una lezione del prof. Addona
riportata da Francesco D'Andrea, I C.
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