Ebbene si, Shakespeare
aveva intuito bene coniando la frase “Too much of a good thing”, ma le radici
di questo detto trovano spazio anche nel vasto campo della filosofia.
Aristotele, nel primo libro dell’Etica Nicomachea scrisse: “Ciò
che è sufficiente in se stesso è ciò che, pur essendo da solo, rende la vita
possibile da scegliere e non bisognosa di nulla; ora, una cosa di questo genere
noi riteniamo sia la felicità: (…) un’attività dell’anima razionale secondo
virtù e, se le virtù sono molteplici, secondo la più eccellente e perfetta”.
Nel secondo libro spiega che queste virtù consistono nella
“disposizione a scegliere il ‘giusto mezzo’ adeguato alla nostra natura, quale
è determinato dalla ragione, e quale potrebbe determinare il saggio”. Il giusto
mezzo è posto tra due estremi:
. Il coraggio, tra la viltà e la temerarietà;
. La temperanza, tra l’intemperanza e l’insensibilità;
. La liberalità, tra l’avarizia e la prodigalità;
. La magnanimità, tra la vanità e l’umiltà;
. La mansuetudine, tra l’irascibilità e l’indolenza;
La principale è però la giustizia in quanto permette, a chi
la possiede, di utilizzare la virtù anche verso gli altri e non soltanto per se stessi.
È più semplice studiare questi argomenti attualizzandoli
essendo parte di noi e della nostra cultura invece di imparare
meccanicisticamente e poi dimenticare.
Cultura è ciò che resta dopo aver dimenticato (Giuseppe
Addona).
Michela Rillo II F
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