Ma nasce un dubbio: che cosa vieta
che la natura agisca senza alcun fine e non in vista del meglio, [A essere affrontata da Aristotele è una
concezione finalistica di quella che è ritenuta una natura] bensì come
piove Zeus, non per fare crescere il frumento, ma per necessità (difatti ciò
che ha evaporato, deve raffreddarsi e, una volta raffreddato, diventa acqua e
scende giù: e che il frumento cresca quando questo avviene, o un fatto
accidentale)? [Aristotele sembra
procedere muovendo da un assunto constatato tuttavia attraverso varie
esperienze e relazioni prodotte] E, parimenti, quando il grano, poniamo, si
guasta sull’aia, non ha piovuto per questo fine, cioè affinché esso si
guastasse, [Il grano, ai primordi della
“civiltà”, era mietuto con un falcetto ricavato da un ramo ricurvo spaccato a
metà in senso longitudinale nel quale inserivano pezzetti di selce (tipo di
pietra tagliente) che fungevano da denti] ma questo è accaduto per
accidente. E, quindi, nulla vieta che questo stato di cose si verifichi anche
nelle parti degli esseri viventi [la
constatazione emergente dagli incroci prodotti arriva ad essere traslata anche
agli esseri viventi. Esse parti
infatti avrebbero potuto comporsi per spinte non rispondenti ad un fine.] e
che, ad esempio, per necessità i denti incisivi nascano acuti e adatti a
tagliare, quelli molati, invece, piatti e utili a masticare il cibo; ma che
tutto questo avvenga non per tali fini, bensì per accidente. E così pure delle
altre parti in cui sembra esserci la causa finale. [A essere messa in dubbio è, in ultimo, una tale causa finale e però
provenienti siffatte considerazioni da confronti e da ipotesi.]
E, pertanto, quegli esseri, in cui
tutto si è prodotto accidentalmente, ma allo stesso modo che se si fosse
prodotto in vista di un fine, si sono conservati per il fatto che per caso sono
risultati costituiti in modo opportuno [Aristotele
appare anticipare Darwin, il quale tuttavia sperimenta tali eventi. Una natura,
dunque, potrebbe produrre casualmente talune caratteristiche che risultano poi
funzionali alla conservazione di essi esistenti]; quanti altri, invece, non
sono in tale situazione, si sono perduti o si van perdendo, come quei buoi
dalla “faccia umana” di cui parla Empedocle [Aristotele
fa leva infatti su quanto accaduto o comunque riportato al punto tale da
muovere le riflessioni. Alcune specie sono rilevate, infatti, essersi estinte].
Questo, o su per giù questo, è il
ragionamento che potrebbe metterci in imbarazzo: ma è impossibile che la cosa
stia così. [Rispetto a quello che
possiamo ritenere un ragionamento incentrato sulle tesi degli avversari,
Aristotele si accinge ora a produrre quello diverso.] Infatti, le cose ora
citate e tutte quelle che sono per natura, si generano in questo modo o sempre
o per lo più, mentre ciò non si verifica per le cose fortuite e casuali. [Proprio la costanza di un tale dispiegarsi
porta Aristotele ad optare per la tesi del finalismo. Un fine, infatti, appare
indirizzare ad un’unica conclusione e organica.] Difatti, pare che non
fortuitamente né a caso piova spesso durante l’inverno [se di inverno piove di più, sembrerebbe questa l’argomentazione di
Aristotele, c’è un motivo, che lo induce a ritenere un fine che però potrebbe
essere rappresentato anche da una causa efficiente]; ma sotto la canicola,
sì (mordeva il caldo come un cane); né che ci sia calura sotto la canicola; ma
in inverno, sì. Dal momento che, dunque, tali cose sembrano generarsi o per
fortuita coincidenza o in virtù di una causa finale (o per una causa che spinge
in un modo casuale o in base ad una causa finale), se non è possibile che esse
avvengano né per fortuita coincidenza né per caso, allora avverranno in vista
di un fine. [La ritenzione è vista
derivare dalla negazione delle altre possibilità, ammesse che siano o constate.
A non essere prodotte, tuttavia, sono proprio le motivazioni che escludono le
altre.] Ma tutte le cose di tal genere sono sempre conformi a natura, come
ammettono anche i meccanicisti. [Proprio
su una conformazione giunge a ricavare che a essere presente sia un fine. In
caso contrario gli elementi dovrebbero rispondere semplicemente alla spinta,
benché anche questa risultante da costituzioni così come configurantesi anche
nel loro permanere ovvero continuare in siffatti termini.] Dunque, nelle
cose che in natura sono generate ed esistono, c’è una causa finale.
Inoltre, in tutte le cose che hanno
un fine, in virtù di questo si danno alcune cose prima, altre dopo. [Quelle, dunque, che presentano un fine,
sembrano esprimere organicamente un prima e un dopo anziché dispiegarsi per
quanto venuto a concretizzarsi quando non per puro caso, fatto questo che a
questo punto dovrebbe essere escluso.] Quindi, come una cosa è fatta, così
essa è disposta per natura e, per converso, come è disposta per natura, così è
fatta, purché non vi sia qualche impaccio. [a
essere applicata è ancora la precedente argomentazione, che, abbiamo visto,
potrebbe valere per altra causa,] Ma essa è fatta per un fine; dunque per
natura è disposta ad un tale fine. [l’affermazione
appare rispondere a una tautologia] Ad esempio: se la casa facesse parte
dei prodotti naturali, sarebbe generata con le stesse caratteristiche con le quali
è ora prodotta nell’arte (perché io metto insieme le pietre per avere un fine);
[tanto significa traslare su una natura
quanto rilevato interessare l’uomo] e se le cose naturali fossero generate
non solo per natura, ma anche per arte, essere sarebbero prodotte allo stesso
modo di come lo sono per natura. Ché l’una cosa ha come fine l’altra.
Insomma: alcune cose che la natura è
incapace di effettuare, l’arte le compie;
[proprio una tale considerazione appare sottrarre alla natura parte almeno di
quanto pure in precedenza attribuito] altre, invece, le imita. E se,
dunque, le cose artificiali hanno una causa finale, è chiaro che è così anche
per le cose naturali [potrebbe, tuttavia,
non essere affatto così, tenuto conto che si tratta di elementi semplicemente
associati]: infatti, il prima e il poi si trovano in rapporto reciproco
alla stessa guisa tanto nelle cose artificiali quanto in quelle naturali. [il discorso arriva a fare leva su quanto
constatato e atteso.] Ma in particolar modo ciò è manifesto negli altri
animali che non agiscono né per arte, né per ricerca, né per volontà: tanto che
alcuni si chiedono se alcuni di essi, come i ragni e le formiche e altri di tal
genere, lavorino con la mente o con qualche altro organo [larga parte della robotica attuale ritiene di non lavorare più con
l’intelligenza, ma con una riproduzione automatica di quelli che sono recepiti
quali istinti]. E per chi procede così gradatamente, anche nelle piante
appare che le cose utili sono prodotte per il fine, come le foglie per
proteggere il frutto. [Una tale finalità
è superata dalle scoperte successive.] Se, dunque, secondo natura e in
vista di un fine la rondine crea il suo nido, e il ragno la tela, e le piante
mettono le foglie per i frutti, e le radici non su ma giù per il nutrimento, è
evidente che tale causa è appunto nelle cose che sono generate ed esistono per
natura (agiscono per un fine). [Un tale
fine è, ancora una volta, ammesso.] E poiché la natura è duplice, cioè come
materia e come forma, e poiché quest’ultima è il fine e tutto il resto è in
virtù del fine, questa sarà anche la causa, anzi la causa finale. [È appena il caso di considerare che se
piuttosto facile appare ritenere che il bambino si muova e cresca in vista di
essere adulto, sarebbe piuttosto sciocco reputare che l’adulto proceda per
diventare vecchio e il vecchio si muova per approdare alla morte].
Del resto si riscontrano errori anche
nei prodotti dell’arte (il grammatico scrive in modo scorretto e il medico
sbaglia la dose del farmaco); è ovvio, quindi, che ciò può accadere anche nei
prodotti naturali. Se vi sono, dunque, cose artificiali in cui ciò che è
esatto, è tale in virtù della causa finale, mentre nelle parti sbagliate pur si
è mirato ad un fine, ma non si è riusciti a conseguirlo, la medesima cosa
avverrà anche nei prodotti naturali, e i mostri risultano sbagli di quella determinata
causa finale. [Una causa dovrebbe essere
trovata anche a esso errore anziché attribuirlo semplicemente al caso.] E,
nelle fondamentali strutture fisiche, se i bovini non fossero stati in grado di
raggiungere un certo termine o un certo fine, ciò si sarebbe dovuto far
risalire alla corruzione di un qualche principio, come è corrotto il seme nel
caso dei mostri.
Aristotele, Fisica,
198b-199b, in Opere, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1973
Una lezione del prof. Addona
riportata da Francesco D’Andrea, I C.