lunedì 27 marzo 2017

Riflessioni su una concezione finalistica della natura

Ma nasce un dubbio: che cosa vieta che la natura agisca senza alcun fine e non in vista del meglio, [A essere affrontata da Aristotele è una concezione finalistica di quella che è ritenuta una natura] bensì come piove Zeus, non per fare crescere il frumento, ma per necessità (difatti ciò che ha evaporato, deve raffreddarsi e, una volta raffreddato, diventa acqua e scende giù: e che il frumento cresca quando questo avviene, o un fatto accidentale)? [Aristotele sembra procedere muovendo da un assunto constatato tuttavia attraverso varie esperienze e relazioni prodotte] E, parimenti, quando il grano, poniamo, si guasta sull’aia, non ha piovuto per questo fine, cioè affinché esso si guastasse, [Il grano, ai primordi della “civiltà”, era mietuto con un falcetto ricavato da un ramo ricurvo spaccato a metà in senso longitudinale nel quale inserivano pezzetti di selce (tipo di pietra tagliente) che fungevano da denti] ma questo è accaduto per accidente. E, quindi, nulla vieta che questo stato di cose si verifichi anche nelle parti degli esseri viventi [la constatazione emergente dagli incroci prodotti arriva ad essere traslata anche agli esseri viventi. Esse parti infatti avrebbero potuto comporsi per spinte non rispondenti ad un fine.] e che, ad esempio, per necessità i denti incisivi nascano acuti e adatti a tagliare, quelli molati, invece, piatti e utili a masticare il cibo; ma che tutto questo avvenga non per tali fini, bensì per accidente. E così pure delle altre parti in cui sembra esserci la causa finale. [A essere messa in dubbio è, in ultimo, una tale causa finale e però provenienti siffatte considerazioni da confronti e da ipotesi.]

E, pertanto, quegli esseri, in cui tutto si è prodotto accidentalmente, ma allo stesso modo che se si fosse prodotto in vista di un fine, si sono conservati per il fatto che per caso sono risultati costituiti in modo opportuno [Aristotele appare anticipare Darwin, il quale tuttavia sperimenta tali eventi. Una natura, dunque, potrebbe produrre casualmente talune caratteristiche che risultano poi funzionali alla conservazione di essi esistenti]; quanti altri, invece, non sono in tale situazione, si sono perduti o si van perdendo, come quei buoi dalla “faccia umana” di cui parla Empedocle [Aristotele fa leva infatti su quanto accaduto o comunque riportato al punto tale da muovere le riflessioni. Alcune specie sono rilevate, infatti, essersi estinte].

Questo, o su per giù questo, è il ragionamento che potrebbe metterci in imbarazzo: ma è impossibile che la cosa stia così. [Rispetto a quello che possiamo ritenere un ragionamento incentrato sulle tesi degli avversari, Aristotele si accinge ora a produrre quello diverso.] Infatti, le cose ora citate e tutte quelle che sono per natura, si generano in questo modo o sempre o per lo più, mentre ciò non si verifica per le cose fortuite e casuali. [Proprio la costanza di un tale dispiegarsi porta Aristotele ad optare per la tesi del finalismo. Un fine, infatti, appare indirizzare ad un’unica conclusione e organica.] Difatti, pare che non fortuitamente né a caso piova spesso durante l’inverno [se di inverno piove di più, sembrerebbe questa l’argomentazione di Aristotele, c’è un motivo, che lo induce a ritenere un fine che però potrebbe essere rappresentato anche da una causa efficiente]; ma sotto la canicola, sì (mordeva il caldo come un cane); né che ci sia calura sotto la canicola; ma in inverno, sì. Dal momento che, dunque, tali cose sembrano generarsi o per fortuita coincidenza o in virtù di una causa finale (o per una causa che spinge in un modo casuale o in base ad una causa finale), se non è possibile che esse avvengano né per fortuita coincidenza né per caso, allora avverranno in vista di un fine. [La ritenzione è vista derivare dalla negazione delle altre possibilità, ammesse che siano o constate. A non essere prodotte, tuttavia, sono proprio le motivazioni che escludono le altre.] Ma tutte le cose di tal genere sono sempre conformi a natura, come ammettono anche i meccanicisti. [Proprio su una conformazione giunge a ricavare che a essere presente sia un fine. In caso contrario gli elementi dovrebbero rispondere semplicemente alla spinta, benché anche questa risultante da costituzioni così come configurantesi anche nel loro permanere ovvero continuare in siffatti termini.] Dunque, nelle cose che in natura sono generate ed esistono, c’è una causa finale.

Inoltre, in tutte le cose che hanno un fine, in virtù di questo si danno alcune cose prima, altre dopo. [Quelle, dunque, che presentano un fine, sembrano esprimere organicamente un prima e un dopo anziché dispiegarsi per quanto venuto a concretizzarsi quando non per puro caso, fatto questo che a questo punto dovrebbe essere escluso.] Quindi, come una cosa è fatta, così essa è disposta per natura e, per converso, come è disposta per natura, così è fatta, purché non vi sia qualche impaccio. [a essere applicata è ancora la precedente argomentazione, che, abbiamo visto, potrebbe valere per altra causa,] Ma essa è fatta per un fine; dunque per natura è disposta ad un tale fine. [l’affermazione appare rispondere a una tautologia] Ad esempio: se la casa facesse parte dei prodotti naturali, sarebbe generata con le stesse caratteristiche con le quali è ora prodotta nell’arte (perché io metto insieme le pietre per avere un fine); [tanto significa traslare su una natura quanto rilevato interessare l’uomo] e se le cose naturali fossero generate non solo per natura, ma anche per arte, essere sarebbero prodotte allo stesso modo di come lo sono per natura. Ché l’una cosa ha come fine l’altra.

Insomma: alcune cose che la natura è incapace di effettuare, l’arte le compie; [proprio una tale considerazione appare sottrarre alla natura parte almeno di quanto pure in precedenza attribuito] altre, invece, le imita. E se, dunque, le cose artificiali hanno una causa finale, è chiaro che è così anche per le cose naturali [potrebbe, tuttavia, non essere affatto così, tenuto conto che si tratta di elementi semplicemente associati]: infatti, il prima e il poi si trovano in rapporto reciproco alla stessa guisa tanto nelle cose artificiali quanto in quelle naturali. [il discorso arriva a fare leva su quanto constatato e atteso.] Ma in particolar modo ciò è manifesto negli altri animali che non agiscono né per arte, né per ricerca, né per volontà: tanto che alcuni si chiedono se alcuni di essi, come i ragni e le formiche e altri di tal genere, lavorino con la mente o con qualche altro organo [larga parte della robotica attuale ritiene di non lavorare più con l’intelligenza, ma con una riproduzione automatica di quelli che sono recepiti quali istinti]. E per chi procede così gradatamente, anche nelle piante appare che le cose utili sono prodotte per il fine, come le foglie per proteggere il frutto. [Una tale finalità è superata dalle scoperte successive.] Se, dunque, secondo natura e in vista di un fine la rondine crea il suo nido, e il ragno la tela, e le piante mettono le foglie per i frutti, e le radici non su ma giù per il nutrimento, è evidente che tale causa è appunto nelle cose che sono generate ed esistono per natura (agiscono per un fine). [Un tale fine è, ancora una volta, ammesso.] E poiché la natura è duplice, cioè come materia e come forma, e poiché quest’ultima è il fine e tutto il resto è in virtù del fine, questa sarà anche la causa, anzi la causa finale. [È appena il caso di considerare che se piuttosto facile appare ritenere che il bambino si muova e cresca in vista di essere adulto, sarebbe piuttosto sciocco reputare che l’adulto proceda per diventare vecchio e il vecchio si muova per approdare alla morte].

Del resto si riscontrano errori anche nei prodotti dell’arte (il grammatico scrive in modo scorretto e il medico sbaglia la dose del farmaco); è ovvio, quindi, che ciò può accadere anche nei prodotti naturali. Se vi sono, dunque, cose artificiali in cui ciò che è esatto, è tale in virtù della causa finale, mentre nelle parti sbagliate pur si è mirato ad un fine, ma non si è riusciti a conseguirlo, la medesima cosa avverrà anche nei prodotti naturali, e i mostri risultano sbagli di quella determinata causa finale. [Una causa dovrebbe essere trovata anche a esso errore anziché attribuirlo semplicemente al caso.] E, nelle fondamentali strutture fisiche, se i bovini non fossero stati in grado di raggiungere un certo termine o un certo fine, ciò si sarebbe dovuto far risalire alla corruzione di un qualche principio, come è corrotto il seme nel caso dei mostri.

Aristotele, Fisica, 198b-199b, in Opere, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1973

Una lezione del prof. Addona riportata da Francesco D’Andrea, I C.

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