lunedì 8 ottobre 2018

Pensare solo per il proprio riferimento e pensare per altro

Se non avessimo rotto o quantomeno aggirato i nostri riferimenti, recuperandone altri da altri punti di vista, cosa sarebbe successo? Avremmo coinvolto altre cose in funzione dei nostri pensieri, capacità o limiti? Per esempio, per gli esseri, soprattutto, umani vi è differenza tra un su e un giù diversamente da quanto è visto interessare un aereo, al quale possiamo ritenere risulta indifferente una sua posizione rispetto all’aria che fende. Da una tale considerazione emerge la possibilità da parte di esso pensiero di muovere da riferimenti diversi ricavandone magari ulteriori e diverse inferenze. Ove non procedessimo su una tale strada arriveremmo ad attribuire ad un qualcosa quanto invece valido per colui che lo ha pensato e in quei termini. Mi viene in mente, al riguardo, una osservazione che produssi da ragazzo a proposito della distruzione di un eco sistema. Il fatto che un sistema faccia posto ad un altro non significa che scompaia in quanto tale ma che a venire meno possano essere elementi che arrivano ad interessare l’uomo e la sua vita. Pensando facendo leva su un ecosistema in generale riusciamo a configurarci anche la fine di esso esistente pensante e però a continuare appare possibile ritenere gli altri esistenti che pervangano ad occupare gli spazi lasciati liberi producendo per le relazioni che vengono a stabilirsi. Ricordo ancora il corso di psicologia all’università allora che ad essere affrontato era il quoziente intellettivo, l’oramai famoso I Q. Un cane, arrivava a essere reputato più intelligente di una gallina per il fatto che questa riusciva a spostarsi solo di circa un metro da un cibo posto al di là della rete mentre l’altro animale dopo avere tentato di recuperare con le zampe esso cibo o spingendo la rete con il muso si allontanava fino a percorrere esso limite dalla rete rappresentato, aggirando questa appunto e prendere il cibo. A essere considerato era tuttavia anche il fatto che un cane era più abituato a percorrere spazi maggiormente ampi, fatto questo che avrebbe dovuto essere sottratto a quella che pure era ritenuta una intelligenza così come misurata. Pensare, tra l’altro, significa non restare ancorati a riferimenti ma muovere da quanto possa risultare per altri e in altre relazioni senza perdere le possibilità di procedere su quanto comunque arriva a fare da base ad un sistema conoscitivo che però non si isola interamente da un non noto al quale una attenzione, finché possibile va ancora rivolta, risultando l’ambito posto in essere non scisso dall’altro ancorché non identificato. A relazionarsi con un non noto è essa conoscenza scientifica in siffatti termini configurata.

Una lezione del prof. Addona riportata da Lina Donisi e Francesco Boscaino, I C.

Modo di studiare

Come si studia? Il modo di studiare più funzionale sembra quello di pensare, mentre si legge un testo, a ciò che verrà espresso in seguito. Se il nostro pensiero corrisponde a quello che risulta dal libro significa che siamo a un livello di logica simile a quella posta in essere dal testo. Se giovani soprattutto possiamo cominciare a reputare di trovarci ad una stato avanzato nelle individuazioni. Ove a darsi non sia quanto da noi prospettato, ovvero nel caso contrario, confrontiamo il nostro errore con gli elementi presentati dal testo così che eliminando quelli appare possibile migliorare essa conoscenza. In entrambi i casi a essere conseguita è una vittoria. Che risultino verificati essi approcci, o che dir si voglia esse competenze acquisite, o che si arricchiscano per i passaggi incontrati a concretizzarsi è quel procedere in una cultura che è divenuta personale perché criticamente posta in essere. A essere percorsi sono stati, infatti, essi processi che risultano all’opposto di ogni semplice assimilazione. Essi risultano vivi e quindi effettivi perché pensati in proprio e in interazione con gli altri.

Lezione del prof. Addona riportata da Elena Russo, I C