lunedì 17 ottobre 2016

IL RECUPERO DI ALCUNI ELEMENTI NON ESPRESSI NEL TESTO. LEGGERE AL DI LA’ DELLE RIGHE!

Le cavalle che mi trascinano, tanto lungi, ma lontano da dove? Dal posto migliore dove era lui o al contrario? quanto il mio animo lo poteva desiderare, ad emergere è la seconda ipotesi, incentrata da un desiderio che non può spingere a a qualcosa di maggiormente appagante mi fecero arrivare, poscia che le dee portarono sulla via molto celebrata che per ogni regione guida l’uomo che sa se c’è una via celebrata di chi sa, ce ne deve essere anche una non celebrata di chi, appunto, non sa.

Là fui condotto: là infatti mi portarono i molto saggi corsieri che trascinano il carro, e le fanciulle mostrarono il cammino. L’ asse dei mozzi mandava un suono sibilante […] tutto in fuoco (perché premuto da due rotanti cerchi da una parte e dall’altra) tanto sembrerebbe fare da corrispettivo a quel qualcosa di desueto quasi a rappresentare un’allegoria di quanto la mente umana si affatichi per seguire un discorso complicato, allorché si slanciarono le fanciulle figlie del Sole, lasciate le case della Notte, a spingere il carro verso la luce, levatisi dal capo i veli negativi perché non ti consentono di vedere. A delinearsi nettamente oramai è quella dimensione, dalla luce rappresentata, che consente di vedere e cogliere, infine, la verità.

Là è la porta che divide i sentieri della Notte il non comprensibile e del Giorno il sapere vero […] Le fanciulle, allora, rivolgendole discorsi insinuanti […] la convinsero accortamente a togliere per loro la sbarra velocemente dalla porta. […] Sembrerebbe che un sapere non sia elargito semplicemente ma perché sia elargito debba essere efficacemente supplicato.

[…] La dea mi accolse benevolmente, […] e mi rivolse le seguenti parole: “O giovane, che insieme a immortali guidatrici giungi alla nostra casa con le cavalle che ti portano, salute a te! […] Bisogna che tu impari a conoscere ogni cosa […] Quanto Parmenide reputa lo lascia affermare alla Dea, perché acquisti forse maggiore credibilità. L’importanza di pervenire a quanto può essere recuperato non solo tra le righe ma, come diceva un genitore abbastanza noto di un alunno del liceo “Tasso” di Roma, attraverso i fogli e talvolta attraverso i muri appare evidente e rappresenta la condizione per orientarsi soprattutto nella mole di informazioni proiettate dai mezzi di comunicazione di massa. Si tratta in ultimo di pervenire ad un qualcosa di verosimile e quindi di effettivo sul quale fondare se stessi e il rapporto con altri. 

DK 28 B 1, vv. 1-17, 20-32, trad. it. Di P. Albertelli, ne “I presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1969

Articolo scritto da D’Andrea Francesco, I C anno 2016-2017 da una lezione del prof. Addona.

 

ORIENTAMENTO IN UN DISCORSO

CLASSE: I C
                                       PROFESSORE: Giuseppe Addona

APPUNTI DI FILOSOFIA
             15/09/2016

Perché prendere appunti?

Per poter ricomporre quanto emerso e produrre su tanto le riflessioni.

Come procedere in una tale operazione?             

Appuntare sembrerebbe indicare quel fissare, per iscritto soprattutto, un minimo perché sia poi ricostruito quanto venuto fuori da un incontro che possa essere rappresentato da lezioni, conferenze o quanto altro. Va da sé che non è il caso di riportare quanto già presente in un libro e soprattutto specificato nelle note. Appare funzionale dotarsi di strumenti che possano permettere una registrazione nel minor tempo possibile. Una penna, dunque, dall’inchiostro scorrevole nonché impugnata nella maniera più funzionale: porre le dita quanto più possibile distanti dalla punta. Il movimento prodotto in tali termini si amplia benché a risentirne sia la precisione che in questo caso cede il posto al numero di elementi da rilevare e in un tempo ridotto. Diverso il discorso per la bella copia dove a valere è, appunto, il contrario: una penna con inchiostro che non macchi e le dita più vicine alla punta per ottenere una maggiore precisione.

 

LO STUDIO

E’ importante concentrarsi al più presto sugli argomenti affrontati in aula portando avanti correlazioni e facendo leva su riferimenti fatto questo che equivale a dire porre in essere una critica. Ove non si procedesse, giorno per giorno, in siffatte analisi ed organizzazioni, facendo leva su appunti relazionati ai testi e individuando gli elementi portanti al punto da porre in essere una organizzazione ancorché aperta, fatto questo che significa comprendere un discorso nella sua generalità recependone, appunto, i termini chiave ai quali correlare fatti specifici, ma si studiasse in vista di una interrogazione accumulando materiale non criticamente collocato si preverrebbe ad un nozionismo che anche a medio termine scomparirebbe per lasciare il posto piuttosto ad un vuoto quando non ad elementi sganciati e senza possibilità alcuna di essere ricondotti ovvero compresi, fatto questo solo per il quale appare possibile parlare di cultura che interviene non appena richiamata. Essa è infatti ritenuta come ciò che resta dopo che si è dimenticato. Il professore Addona nel libro Una scuola per una cultura possibile, Bonanno editore fa presente che è inutile far imparare argomenti che poi si dimenticheranno. Si appesantisce infatti inutilmente la mente, la quale finiti gli studi scolastici “resetta” tutto spazzando via quanto con molti sforzi inculcato.

 

FILOSOFIA

Si tratta ora di approcciarsi alla Filosofia, avremmo potuto cominciare dal famoso “Che cos’è Filosofia?” Come molti libri propongono o magari chiederci, come ancora avviene in molti manuali, “Perché questo modo di approcciarsi al mondo sia nato in Grecia?”

 

Se è possibile capire abbastanza cosa sia filosofia soltanto dopo un percorso perché da esso emerge il suo “essere”, tuttavia possiamo avvicinarci ad essa partendo da fatti accaduti. Capire significa comprendere il tutto;

Siamo partiti da un fatto:

 “Hai mai giudicato un’amica?”

 “Hai mai raccontato che lei si è comportata male?”

A rispondere è una ragazza:

 “Se dico che si è comportata male debbo chiedermi a cosa risponde il mio giudizio.”

 “Gli elementi espressi da lei coincidono con quelli che io mi aspettavo?

Se quindi io sono rimasta male, significa che quanto proposto è venuto ad urtare con le aspettative. Proviamo a simbolizzare:

Con “C” intendiamo Comportamento;

Con “A” attesa;

Con “N” non;

Con “Ar” arrabbiatura;

Con “NA” non attesa;

   C = A → N Ar

   C = NA →Ar

   N Ar → C A

Emerge quindi che noi ci arrabbiamo quando il comportamento dal quale risultiamo interessati è diverso dalle nostre aspettative e nel momento in cui lo comunichiamo reputiamo che queste coincidano con coloro che ci ascoltano.

Stiamo filosofando! Ad emergere da un tale discorso è già un significato di filosofia: ricondurre i termini a qualcosa che possa sostenere quanto espresso.

Proviamo a chiedersi ora cosa significa riflettere

                   Già attenendoci a quello che possiamo recuperare dalla parola ri-flettere, oltre che dal latino, ad emergere è un piegare all’indietro e procedere su tanto nuovamente.

Tanto significa che non bisogna recepire un qualcosa che risulti espresso da una sola direzione ovvero così come proposto e per le connotazioni che arriva da subito ad acquistare ma recuperare anche quella “opposta”, rappresentata dalla via percorsa in senso contrario nonché ripercorsa fino, possiamo aggiungere, a trovare altre relazioni dalle quali a dispiegarsi siano ulteriori configurazioni.

In un caso, dunque, le predicazioni risentono di un riferimento e nell’altro di un altro riferimento e di altri ancora. Ad emergere è quindi una visione sempre più aperta man mano che ad aggiungersi sono riferimenti.

 Appare possibile così elaborare vari parametri e punti di vista che possono supportare e correggere quello che è stato detto in precedenza. Con le riflessioni quindi appare possibile integrare e correggere quanto ad un primo impatto ritenuto.

Se non lo facessimo cosa ne conseguirebbe?

Emerge con evidenza che resteremmo ancorati e quindi chiusi in quella prima “concezione” laddove, proprio dall’apertura può derivare la possibilità di correggere sviste o errori.

 

I COMPORTAMENTI

Comportamenti impulsivi, ovvero istintivamente e istantaneamente posti in essere, possono risultare denotativi di quanto arriva a caratterizzare nel modo più peculiare un esistente oltre che cogliere obiettivi. Quali garanzie abbiamo, tuttavia, di aver operato nel modo migliore, ovvero in una espressione tale da reggere soprattutto rispetto ad altre? Ad emergere, da subito sono correlazioni e quindi quella riflessione già considerata. Valutando appunto modalità e riferimenti ulteriori, possiamo pervenire ad allontanare quelle posizioni rivelatesi non sostenibili né apportare i maggiori vantaggi ad esso esistente e, soprattutto, consentire a esso soggetto di non esprimersi magari in una contraddizione.

Si tratta di cogliere, dunque, accanto ad una funzionalità, una giustizia e quindi l’essere di quello che, diversamente, si presenterebbe solo quale un esistente non valutato in un tempo e quindi nelle relazioni per le quali possa essere recepito e, dall’altro lato, supportato.

 

L’INDAGINE FILOSOFICA CONTINUA

Al di là di quanto già emerso, si tratta di spingere sempre oltre i riferimenti in un processo, dunque, continuo, fino a trovare un primo principio o, fatto che non risulta diverso, pervenire a ritenere la stessa impossibilità di coglierlo. Proprio allora che pervenuti a quello, alcuni si arrogano il diritto di spiegare tutto, sfociando in illazioni che spesso hanno portato molti utenti marginali della filosofia a far ritenere che questa sia “quella cosa con la quale o senza la quale il mondo rimane tale e quale”.

Sovente infatti con un principio trovato molti filosofi tendono a piegare l’intero universo che ci circonda, producendo forzature.               

Il valore dell’indagine filosofica è rappresentato dalla validità degli elementi ritrovati rispetto a quelli che, in caso contrario, sarebbero o ignorati o ritenuti con le incongruenze non scoperte. Si tratta, tuttavia, di non bloccarsi ai risultati ai quali quasi sempre con molta fatica si è pervenuti ma avere il coraggio di mantenere quell’apertura sulla quale possono inserirsi le ricerche di altri. Proprio la chiusura su un tutto definito intorno a ciò che è stato trovato richiama quello sforzo a sfondare una tale fortezza per poi procedere oltre. Appare evidente che meglio sarebbe lasciare la porta aperta a quegli alleati che possano concorrere alla ricerca di quanto giungerà a dispiegarsi come più vero così come da Socrate colto.

 

Torniamo comunque al discorso che stavamo portando avanti. Quando ci arrabbiamo non solo rispondiamo a quanto arriva a dispiegarsi per un istinto o status di quello che si dispiega quale un esistente ma talvolta siamo convinti di aver ragione e che l’amica stia sbagliando rifacendosi ad elementi non, tuttavia, a propria volta fondati al punto da reggere così come da essa ragione universale richiesto.

Non appena riflettiamo non possiamo non fare leva che o su ciò che giungiamo a rilevare che quella si è posta con un comportamento diverso da chi sta indagando e da quello della comunità civile. Ad una indagine che si spinge ancora in avanti può emergere che la stessa società assunta a riferimento non si presenta in modo granitico ma con differenziazioni dalle quali ad emergere, spesso, è anche un qualcosa di antitetico. Si tratta allora di risalire a quanto possa supportare l’insieme o negarlo facendo leva, questa volta, su essa ragione universale ancorché correlata a fattori storici portanti una società. Liberare dalle stesse pastoie correnti è stato un traguardo posto in essere da tantissimi filosofi: emblematici al riguardo Senofane ed Epicuro, i quali additavano ad una liberazione da false ritenzioni riguardanti gli dei.

 

Si tratta di ricavare, altresì, validità dai vari paragoni interessanti diverse comunità nonché le differenti manifestazioni all’interno di uno stesso il gruppo sociale. Ciò seguendo una ragione che arriva a dispiegare di volta in volta una propria dimensione al di là degli stessi parametri di riferimento fino a considerare se essi comportamenti possano reggere, almeno finché non siano trovati altri maggiormente funzionali.

Se ogni comunità, dunque, presenta un suo modo di pensare ovverosia dispiega una sua cultura da cui una validità deriva, quando non semplicemente una univocità che porta a chiusure e imposizioni, bisogna sforzarsi di andare oltre fino ad incontrare gli altri in una intersoggettività.

Articolo redatto da D’Angelis Flaminia da una lezione del prof. Addona. Per approfondimenti della tematica si rinvia al lavoro Giuseppe Addona “Percorsi di filosofia” vol. I.

sabato 8 ottobre 2016

IL PRINCIPIO RAPPRESENTATO DALL’ETERNO FLUIRE: ERACLITO

“Congiungimenti sono intero non intero, concorde, discorde, armonico, disarmonico, e da tutte le cose l’uno e dall’uno, tutte le cose.”

Da un tale passo emerge che Eraclito era abbastanza oscuro. Tanto, probabilmente sia perché in siffatti termini reputi costituita una realtà e sia perché magari una tale espressione possa apparire alta o non offerta ad una massa o ancora possa scioccare, stimolare, provocare. Da considerare, in primo luogo, è la possibilità di individuare tali opposizioni. A dispiegarsi dovrebbe essere un metasistema dall’uomo posto in essere. In caso diverso a presentarsi sarebbe il problema costituito innanzitutto dalla comprensione dei vari termini in un tale movimento di interscambio. Gli stessi congiungimenti appaiono presupporre ciò che ciò che è separato e che però non resta tale né espresso in una sua autonomia.

Ma dove si trovano questi opposti? Nel logos, poiché rappresenta il tutto ed abbraccia sia intero che non intero? In tal caso però a risultare sarebbero essi termini in continua trasformazione ed un logos. Diverso il discorso allora che questi rappresentassero il logos stesso.

Il logos eracliteo sembrerebbe superare, per la generalità che arriva ad esprimere, lo stesso numero come principio così come da Pitagora ritenuto. Al di là del complesso rapporto tra il numero uno e gli altri nel loro insieme, nonché della divisione tra il pari e il dispari il logos racchiude tutto e non ha bisogno di recepire o produrre altro poiché esso nel suo insieme si presenta come realtà senza che ad essere presupposto sia alcunché che debba fare da principio.

“L’opposto concorde e dai discordi bellissima armonia …”

Anche il rilevare una tale armonia appare necessitare di quanto un tale giudizio giunga a consentire.

“Una e la stessa è la via all’in su e la via all’in giù” […] Una tale dimensione risulta completa e non necessitante di riferimenti. Nel logos non esistono differenze al di là del fatto di portare armonia. Una tale concezione era stata recuperata già da Pitagora il quale riteneva che la terra non fosse sostenuta da nulla, non avendo modo di cadere da una parte meno che da un’altra meno.

“Il mare è l’acqua più pura e più impura …” Ancorché riportante esempi pratici, a non emergere in termini chiari è proprio la “cosa” di cui sta parlando, per questo vale quanto già emerso ovvero l’oscurità con la quale Eraclito si esprime.

“…Per i pesci essa è potabile e conserva la loro vita, per gli uomini essa è imbevibile e esiziale” (dannosa, mortale). A essere fornita, in questo caso è la spiegazione.

Ora citiamo il passo che tutti gli studenti di liceo ricordano:

“Negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo …” A fare da riferimento a quello che si presenta quale un movimento che si rivelerà come principio è il soggetto che recepisce un tale scorrere. “Polemos [la guerra] è padre di tutte le cose, di tutte re”. La mutazione arriva a prendere corpo come guerra potenziando, dunque, il contrasto. [] “e gli uni svela come dei e gli altri come uomini” ad emergere sono le conseguenze portata da un tale principio.

Se mettiamo un piede in un fiume, scendiamo e però mentre mettiamo il piede, l’acqua scorre quindi non scendiamo in quello che però, nel suo insieme, pure è considerato fiume. Diverso il discorso per le acque. Sembrerebbe che a concretizzarsi, in tal caso, sia quello che risulterà un artificio portato avanti dai Sofisti e da Aristotele scoperto. Allora che un tale discorso riguardasse un lago dove l’acqua sia ritenuta, almeno per convenzione, ferma di fronte ad uno scorrere constatato interessare un fiume sembrerebbe potersi scendere, e però anche non nel caso fossimo noi a trasformarci attraverso il processo della crescita o dell’invecchiamento, oppure se la stessa acqua divenisse vapore. In ogni caso a dispiegarsi non è un elemento definito, poiché tutto va a collegarsi con il suo opposto esprimendo esso logos.

“… nello stesso fiume non è possibile scendere due volte” Tanto perché sia l’acqua è passata e sia perché noi non siamo più quelli di prima.

                "Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re" Sembrerebbe che a subentrare per potenziare il passaggio di essi contrari sia Polemos che però dobbiamo, per non recepire un dualismo, intendere come motore di quel logos anzi quale potere con cui esso logos si esprime.

"... e gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi e gli altri liberi"

Il logos che rappresenta il tutto pure, momentaneamente, sembrerebbe esprimersi o esprimere elementi che arrivano a essere percepiti in tali termini ancorché non sottratti al movimento che continuamente investe il tutto ovvero specificamente i contrari da cui a derivare è essa armonia.

                                                                  

 […] “che tutto accade secondo contesa e necessità” rappresentano queste, così come già prima Polemos modalità di esso logos? In caso contrario a valere sarebbe il discorso sopra affrontato.

                                                                

“Di questo logos che è sempre” un tale insieme si presenta come principio e organico “gli uomini non hanno intelligenza” si rivolge a tutti gli uomini o a tutti tranne che a lui o ad altri pochi? Sembrerebbe che dovesse essere escluso lui che tanto conosce. Se invece rientrasse, su quali basi potrebbe produrre una tale affermazione? “sia prima di averlo ascoltato sia subito dopo averlo ascoltato benché infatti tutte le cose accadono secondo questo logos” il logos si configura esplicitamente quale principio, “essi assomigliano a persone inesperte, pur provandosi in parole e in opere tali quali sono quelle io spiego” una delle ipotesi prodotte è stata confermata ovvero che lui fosse escluso dalla restante parte  degli uomini “distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo com’è”. Un tale ordine risulta da Eraclito affidato alla natura. “Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli”, da tanto emerge ulteriormente il suo essere aristocratico. Una tale rilevazione risulta molto diversa da una acquisizione meccanica derivante da una “introduzione” all’autore che spesso diventa lo studio definitivo.

                            DK 22 B 1, trad. it. Di G. Giannantoni

Lezione del prof. Addona riportata dagli alunni della IC

ERACLITO
Di questo logos (che cos’è? Dal greco ricaviamo un primo significato che è quello di organizzazione. Basta tener conto che il suo contrario è caos) che è sempre (quindo non sembra affidarsi, Eraclito, a un qualcosa che compare o scompare e già tanto ci fa pensare probabilmente al principio che è sempre, mancano però ancora la derivazione, la motivazione.) gli uomini non hanno intelligenza (si rivolge a tutti gli uomini o a tutti tranne che a lui o tranne che a qualcuno? Sembrerebbe che dovesse essere escluso lui che tanto conosce, perché altrimenti, se invece rientrasse, come farebbe a dire che gli altri non capiscono?) sia prima di averlo ascoltato sia subito dopo averlo ascoltato (notiamo subito uno stile arcaico perché ripete due volte il termine “sia”. Quindi questo logos si ascolta? Quindi per essere ascoltato significa che deve essere espresso in termini fonetici? E comunque sembrebbe ribadire qui, la negatività degli uomini che non ne “hanno intelligenza” non solo prima, ma nemmeno dopo.) benchè infatti tutte le cose accadono secondo questo logos (quindi emerge ora che il logos si presenta quale principio, perché tutte le cose da esso derivano e tanto appunto si dice principio.) essi assomigliano a persone inesperte, pur provandosi in parole e in opere tali quali sono quelle io spiego (siamo  finalmente giunti a confermare la nostra ipotesi secondo la quale lui fosse escluso da tutto il resto degli uomini. Da studenti quindi possiamo essere soddisfatti perché ancora una volta abbiamo preceduto il testo.) distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo com’è. (Questo ordine risulta da lui affidato alla natura). Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, (emerge ulteriormente il suo essere aristocratico [che succederebbe allora se avessimo letto e imparato meccanicamente in una “introduzione” all’autore che spesso diventa lo studio definitivo che è un aristocratico? Imparando meccanicamente avremmo riempito il cervello unicamente di una ulteriore nozione]) allo stesso modo che non sono coscienti di ciò che fanno dormendo. (avvalora l’affermazione ammessa nelle parole precedenti perché sarebbero stati giustificati da dormienti, ma non da svegli, allora che non capiscono similmente a come avviene allora che dormono).

                            (DK 22 B 1, trad. it. Di G. Giannantoni) 
                                                                                                         IC