martedì 17 marzo 2015

Platone e il concetto di giustizia nella società contemporanea
Perché non può esserci una società di ladri
Per Platone la giustizia è l’armonia tra le facoltà dell’anima e anche tra le classi di cittadini, in quanto assegna ad ogni facoltà oppure ad ogni classe sociale quello che a ciascuno spetta, come attuazione del proprio compito. In termini moderni, in una società di stampo capitalista o socialista che sia, giustizia significa fissare dei parametri e impegnarsi affinché questi vengano rispettati; naturalmente, ciò è compito dello stato che ha il dovere innanzitutto di capire cosa è giusto e cosa non lo è, per mezzo della virtù (secondo Platone, conoscenza del bene e del male), e successivamente è tenuto ad applicare la giustizia tenendo conto dei parametri stabiliti.
Stabilire particolari regole e governare in base ad esse - è importante evidenziare - è necessario poiché quello stato che non si attenesse vi siete mai chiesti cosa accadrebbe? Anche in un’associazione criminale allora che non venissero fissate delle regole, norme alle quali attenersi, cosa ne conseguirebbe? Sicuramente non verrebbero definiti i ruoli di ognuno, si creerebbe un caos che non permetterebbe alla “banda” di attuare i propri loschi intenti; in parole povere, ciascun membro potrebbe proclamarsi “capo”, arrivando così ad una sorta di guerra interna continua poiché in questa situazione ciascuno agirebbe secondo i propri interessi. Ebbene, anche associazioni di tal fatta si basano su talune regole le quali, proprio perché definiscono i ruoli all’interno del “clan” e soprattutto perché vanno contro le norme legali stabilite dallo stato, permettono lo svolgimento dell’attività illegale. Detto questo arriviamo al fulcro del nostro discorso: perché non può esistere una società di ladri? Semplice, abbiamo appena affermato che in qualsiasi stato o associazione c’è bisogno che vengano stabilite delle leggi, senza le quali è impossibile governare. Ora, se in uno stato il 100% della popolazione praticasse il mestiere del ladro, si arriverebbe al caos più totale, all’anarchia. In parole povere, se una persona “A”, per vivere, ruba un bene ad una persona “B”, quest’ultima, non essendoci leggi a cui appellarsi, non può che fare lo stesso nei confronti di “A” nonché di “C”, di “D” e di… ”n”, la quale da un lato trae vantaggio da ciò che ha sottratto e dall’altro è penalizzata da ciò che gli è stato sottratto. Possiamo notare con chiarezza che questa situazione surreale offre uno spunto interessante per sviluppare un’altra dottrina di Platone: la condanna del relativismo sofistico e per tracciare soprattutto una indicazione ai giovani contemporanei che si accingono ad entrare in una società della quale poi diventeranno parte maggiormente propositiva. Tenendo presente la situazione appena descritta, chiunque potrebbe condannare o giustificare i comportamenti di “A” o di “B” a seconda di come appaiono ai suoi occhi, e allora da una situazione già surreale se ne creerebbe un’altra ancora più surreale. Ed ecco il contributo di Platone che, con la definizione di giustizia e con la condanna del relativismo, riesce ad essere incredibilmente attuale.


Alessio Cece, I C 

lunedì 2 marzo 2015

Validità della scuola ed impegno degli alunni a sostegno della società.

Quegli alunni che si preoccupassero di recuperare risultati da proporre alle interrogazioni passando sopra i processi che li hanno portati a raggiungerli, perderebbero quanto di più peculiare investe la conoscenza. Quello che il giovane porterà nella sua ricerca da adulto è proprio la capacità a gestire procedimenti pur  nella consapevolezza che questi stessi sono in svolgimento e  la cui validità è dunque da ricercare continuamente come Socrate aveva additato. E' questo il ruolo di quella ricerca critica che si dice filosofia e che quantomeno può risultare propedeutica alle varie discipline universitarie non appena queste si dedichino ad approfondire gli elementi e le condizioni su cui poggiano. Un tale atteggiamento vale altresì in società non appena ci si presenta per incontrare gli altri e costruire insieme quel piano sul quale risulti possibile un incontro. Ristretto quanto si voglia, questo pure può rappresentare il superamento di  quell'individualismo che pone gli uni di fronte agli altri in una lotta spesso solo evitata per abitudini o opinioni che tendono ad una pace senza una comprensione critica della validità o della necessità che portano con loro. Una scuola quindi che si propone di stimolare o produrre cultura non può fermarsi a risultati o a contenuti misurati con un voto magari da ostentare tra gli amici di famiglia, quando non in un ambiente più vasto. L'istituzione scolastica chiamata dunque a promuovere la crescita "umana e critico culturale" degli alunni, vedrebbe sè stessa risospinta agli albori della Scolastica. E' appena il caso di citare che il celeberrimo Cartesio dopo gli studi al collegio di La Fleche, pur risultando per la considerazione degli altri l'allievo numero uno, riconobbe di non aver appreso altro che notizie al punto da doversi dedicare a quella cultura che fino ad allora gli era mancata. E noi dopo tanto vorremmo tornare indietro? Sappiamo invece su quale via incamminarci per andare avanti. Una scuola dunque che non si proponga di fornire materiali sui quali magari fissarsi, ma stimoli e vie che possano portare a consapevolezze sulle vie teoretiche e risultati in una pratica dalla quale la società possa recepire il minor numero di contraddizioni. Da una siffatta disponibilità ciascuno può aspettarsi una crescita insieme agli altri.