venerdì 19 dicembre 2014

La libertà... Tanto decantata ma così poco conosciuta.

Hai mai provato a chiederti cosa sia la libertà? Che rispondere ad una tale domanda sia difficile appare già dal fatto che il grande Socrate interrogava proprio su cosa fosse l'argomento in questione. Innumerevoli sono le volte che la si invoca, in suo nome sono state condotte guerre, rivoluzioni; ad essa sono state affidate forse le speranze più consistenti dell'uomo. Non abbiamo la possibilità di interrogare tante persone per far emergere la concezione che ciascuno ne ha; proviamo tuttavia noi stessi a rispondere.
Un giovane tipo forse ritiene libertà fare ciò che vuole senza vincoli. Chi può dire che tanto non sia valido e bello per chi lo ha pensato? Abbiamo finito? Va bene così?
Se non fosse che ogni operazione o larga parte di quanto esplicato si trova ad investire gli altri. Il discorso in questo caso non è relativo ad un solo individuo, ma al rapporto che questo instaura con chi gli sta vicino. A questo punto viene a dipendere dalla relazione. Non sembra dunque, al punto a cui siamo pervenuti, presentarsi quale assoluta. Le valutazioni devono allora vertere su come possa risultare applicata agli altri e forse, soprattutto recepita da questi. Proviamo di nuovo. Ci basta la famosa espressione: "la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri"? Emerge chiaramente come anche in questo caso il discorso sia generico, infatti più che definita, la libertà si trova ancora in una relazione, ma senza che l'incognita sia stata risolta. Se qualcuno vivesse isolato, sarebbe libero? O forse non avrebbe nemmeno il concetto di essa libertà? Anche infatti senza scomodare Hegel sappiamo che una predicazione può essere tale nel momento in cui si esprime rispetto ad altro. In assenza di quest'altro diverso questa libertà non potrebbe emergere. Focalizziamo allora l'attenzione sull'altro termine. Recuperato semplicemente in negativo, ne deriverebbe che essa è libertà da imposizione. Sembrerebbe allora che solo in presenza di costrizioni essa reclami il suo essere. A parte allora un significato che emerge dall'altro, bisogna considerare il singolo soggetto il quale i significati esprime. Quello che per qualcuno quindi può essere considerato un'imposizione, per altri può risultare un non problema o sconfinare anche in un piacere (vedasi i masochisti). Ma per la stessa persona potrebbe succedere, come di fatto accade, che una volta si seguono alcune indicazioni e altre queste sembrano opporsi. Affiora dunque che a dover essere valutate sono anche le non  contraddizioni o le identificazioni che dir si vogliano. E siamo ancora lontani dalla definizione!
Uccidiamo la libertà se cerchiamo di definirla come alcuni ritengono? E però se non la definiamo come fa l'altro a riconoscerla o forse colui stesso che crede di esprimerla? E' possibile rintracciare la libertà  dunque non solo per quanto riguarda il singolo soggetto, ma in rapporto all'altro che dovendola riconoscere esprime il suo messaggio di ritorno. Chiaramente non è l'espressione della forza che permette di connotarla, perché in quel caso risulterebbe essere l'espansione della volontà del singolo individuo, la quale non incontrando altro non potrebbe essere determinata. Essa allora partendo dal soggetto deve incontrare l'altro soggetto e tornare riconosciuta. A questo punto non è assoluta, non è individuale, né sganciata, ma solamente valida in un sistema intersoggettivo. E' questo allora che dobbiamo far emergere insieme per fare in modo che ci si esprima senza imposizioni, che si incontri l'altro al punto che questo non sia un ostacolo, ma un sostegno, così come Kant riteneva che per l'aria pure rallenta la colomba, ma rappresenta il mezzo che la fa volare.

Vediamo ora in concreto come può rapportarsi anche in relazione al meccanicismo, ovvero
esprimersi. Se la realtà si presenta come rapporti di causa-effetto, al soggetto non resterebbe nessuna possibilità di esprimerla. Kant riteneva che potesse rappresentare quanto derivava dall'imperativo categorico e che si ergeva rispetto ai vantaggi pure visti appartenere all'io empirico, giungendo a concretizzarsi per quell'universalità che era solo formale. Noi invece oltre lo stesso Hegel, per il quale a rigore la libertà avrebbe dovuto essere autodeterminazione della ragione, reputiamo che essa prenda corpo in una intersoggettività che dà concretezza alla forma kantiana e dà espressione al soggetto tra soggetti. Riconosciuta dunque dal soggetto come coscienza in relazione con altri soggetti può essere rivisitata e riprodotta. Questa sarebbe la libertà effettiva in una società. Non immobile dunque ma individuata nei passaggi sostenibili e valutati, pronti a recepire la falsificazione e il diverso così come da Popper riconosciuto. Non assoluta, non a priori dunque ma valida fino ad ulteriore prova contraria. 
Antonio Coppola II F
Michela Rillo II F
Angelo Parrella III C
Mario Forni III C
Stefano Palmieri III C
Fabiola Castelluzzo III C
Stefania Goglia III C
Monica Angelone III C
Roberta Zoppoli III C
Silvia Marsullo III C

mercoledì 26 novembre 2014

L'invidia

Oggi affronteremo il concetto dell'invidia, concetto all'apparenza molto semplice e che interessa la vita quotidiana di ogni persona, ma che deve essere affrontato in un modo molto critico per poter comprendere a pieno il modo e il motivo per il quale si manifesta. In generale, invidia non può realizzarsi se c'è una proporzione enorme ma se c'è qualcosa che lega e che fa pensare di essere simili. Appena fuoriesce la volontà di far rientrare la proporzione di base si genera dunque l'invidia. Per poter capire meglio il tutto, facciamo subito un esempio. Se una persona sa appena leggere e scrivere non invidierà uno scienziato matematico, perché le due persone non possiedono le stesse competenze e lo stesso livello conoscitivo. Se invece un soggetto impar a fare lo zero e un altro non è mai riuscito a farlo, ma i due pensano di essere simili, appena il primo fuoriesce dallo stesso livello, innesca nell'altro la volontà di mantenesse quel livello e se non si eleva lui, cerca di abbassare l'altro: all'invidia si aggiunge quindi una nuova componente: la cattiveria. Per Virgilio, invece, l'invidia non era una cosa negativa, l'essere umano non vuole apportare di meno di chi dà di più, ognuno cerca di apportare di più per il bene comune e allora l'invidia diventa una sana invidia. Da ciò possiamo notare come, anche un sentimento considerato così negativo, sotto alcuni aspetti può essere letto in chiave positiva.
Antonio Coppola II F

giovedì 6 novembre 2014

A proposito dell'oggetto...

Quante volte ci capita ogni giorno di sentire frasi del tipo: "Ci troviamo di fronte fatti OGGETTIVAMENTE reali"? Beh davvero tantissime e spesso non ci chiediamo nemmeno ciò che quell'avverbio stia a significare accettandolo passivamente. Anche in questo caso, però, andando ad analizzare attentamente il tutto e servendoci soprattutto dei pensieri dei grandi filosofi antichi, possiamo giungere ad una migliore comprensione dei fatti. In classe, ci siamo trovati di fronte un passo molto interessante di Tommaso d'Aquino sulla verità e sulla conoscenza e da lì noi alunni abbiamo cominciato grazie all'aiuto del prof. Addona a filosofare e a porci degli interrogativi su quell'argomento. Abbiamo scoperto che per Tommaso il vero è presente quando l'intelletto corrisponde all'ente reale, in parole più semplici, quando l'intelletto assimila la realtà. Grazie a questo pensiero, siamo riusciti a capire che Tommaso, da grande realista, pone prima la realtà e poi sulla realtà si pone l'intelletto. Questo concetto fu ripreso poi successivamente anche dal famosissimo filosofo tedesco Immanuel Kant, che riuscì in maniera grandiosa a capire che il mondo degli oggetti non è un mondo reale, a sé stante, ma è il soggetto stesso a crearli, dunque dopo Kant l'oggettività non c'è più! E pensare che alcuni idealisti moderni pongono ancora l'oggetto come base della conoscenza umana...
Antonio Coppola
II F

venerdì 31 ottobre 2014

Presentazione libro del prof. G.Addona

Ricordiamo che il 15 Novembre 2014, nella sala Vergineo del Museo del Sannio di Benevento verrà presentato a partire dalle ore 17:00 il nuovo libro del professore Giuseppe Addona dal titolo: La Determinazione Sociale dell'Individuo. Le linee guida dell'intero lavoro sono le condizioni che rappresentano la concretezza degli individui in società. I contenuti riguardano, in particolare, le esigenze in rapporto al soggetto che si pone in società, ossia la capacità critica di decidere se concretizzare o meno i nostri desideri in relazione alle norme he regolano la vita in comune. L'umanità, dunque, da cui scaturiscono rispetto e sensibilità è vista come "conditio sine qua non" sulla quale costruire il rapporto con l'altro. Sono affrontati, infatti, temi come l'amicizia, la politica vista come riconoscimento dell'altro e valori analizzati secondo quelle necessità che dispensano da prevaricazioni. Vengono inoltre esposte anche diverse determinazioni della libertà, prima definita scientificamente e poi posta tanto liberamente da trasformare essa stessa in scientificità e intersoggettività. Da ciò è vista derivare la società di individui liberi ed umani. A proposito di quest'ultimo concetto  offre illuminanti delucidazioni il professore Nino B. Cocchiarella, docente dell'Indiana University nel suo trattato intitolato: "Cosa significa essere umano".
Chiunque dunque sia interessato alle tematiche qui esposte può recarsi il 15 Novembre al Museo del Sannio, dove il professore, insieme a noi alunni, terrà un'interessantissima presentazione del libro che è prossimo all'uscita.

lunedì 27 ottobre 2014

Parmenide: Le differenti vie della ricerca

Parmenide
Le differenti vie della ricerca

“Orbene io ti dirò e tu ascolta attentamente  le mie parole”

C’ è un io che parla e qualcun altro e gli dice di ascoltare attentamente le sue parole.

“… quali vie di ricerca sono le sole pensabili”

Qualcuno tratta delle vie di ricerca che sono percorribili con il pensiero che potremmo rendere simbolicamente così:
Q: Io Di T A
                                                                         VR   SP
“L’una che è e non è possibile che non sia”

                           Questa è la famosa affermazione di Parmenide la traduciamo così:
E’ N P N E’
 Ciò che è deve necessariamente essere.
Da qui deduciamo che Parmenide pensa in negativo.

“E il sentiero della Persuasione”

Ovvero la via buona, quella da cui si ci deve lasciar persuadere.

“L’altra che non è possibile che sia;
questa io ti dichiaro che è un sentiero del tutto inindagabile”

Questa è la via cattiva, poiché non si può seguire qualcosa che non esiste.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          Continua...

sabato 25 ottobre 2014

L'altra faccia della medaglia.

La storia ci insegna come una cosa assuma un valore totalmente differente nel corso dei secoli; già un quadro antico, illustrante una famiglia aristocratica, mostra un cambiamento sociale di non poco conto: prima la moda era rappresentata dalle persone grasse e di pelle molto chiara perché la gente comune non aveva cibo, mischiava quel poco di lardo che aveva - se era fortunata - con erbe per sopravvivere e lavorando sotto il sole cocente la carnagione era molto scura. Oggi, al contrario, le persone vengono denigrate se possiedono qualche chilo di troppo, mentre vengono adulate le modelle scarnite in passerella abbronzate anche il 20 Dicembre, perché la gente comune lavora e non avendo tempo di andare al mare ricorre alle lampade a raggi UV.
Vogliamo parlare di economia e politica?
Ricordate le corporazioni? Anticamente erano ‘enti’ che stabilivano la qualità di un prodotto, le sue determinate fattezze, specifici parametri e fissavano il prezzo per evitare la concorrenza.
Es. Da una bottega fiorentina doveva uscire un prodotto di livello molto alto altrimenti anche la città risentiva di questa ‘brutta figura’.
Potevamo definire quindi una corporazione positivissima perché faceva in modo che tutti potessero lavorare.
Oggi invece corporazione è sinonimo di ‘blocco’; diventa fattore di regresso perché non permette di orientarsi verso il futuro.
Una stessa cosa in un periodo è positiva e in un altro è negativa.
E la nobiltà? La nobiltà oggi è considerata negativa.
Un tempo era molto positiva: al tempo dei romani i nobili erano uomini di parola, quando si andava in guerra non scappavano di fronte al pericolo! (L. Catilina, nobili genere natus).
Contestualizziamo: la psicologia contemporanea ha accertato che lo scemo muore meno in guerra, chi ha paura ha maggiori possibilità di salvarsi perché al minimo rumore scappa, mentre il temerario affronta il pericolo e spesso ‘ci lascia le penne’.

Un tempo, dunque, la nobiltà era una garanzia, successivamente divenne il sinonimo di ‘campare senza lavorare’ (nel 1600 questa concezione fu una delle cause della crisi spagnola!).

Michela Rillo II F

Il troppo storpia!

Quante volte vi è capitato di dirlo?
Ebbene si, Shakespeare aveva intuito bene coniando la frase “Too much of a good thing”, ma le radici di questo detto trovano spazio anche nel vasto campo della filosofia.
Aristotele, nel primo libro dell’Etica Nicomachea scrisse: “Ciò che è sufficiente in se stesso è ciò che, pur essendo da solo, rende la vita possibile da scegliere e non bisognosa di nulla; ora, una cosa di questo genere noi riteniamo sia la felicità: (…) un’attività dell’anima razionale secondo virtù e, se le virtù sono molteplici, secondo la più eccellente e perfetta”.
Nel secondo libro spiega che queste virtù consistono nella “disposizione a scegliere il ‘giusto mezzo’ adeguato alla nostra natura, quale è determinato dalla ragione, e quale potrebbe determinare il saggio”. Il giusto mezzo è posto tra due estremi:
. Il coraggio, tra la viltà e la temerarietà;
. La temperanza, tra l’intemperanza e l’insensibilità;
. La liberalità, tra l’avarizia e la prodigalità;
. La magnanimità, tra la vanità e l’umiltà;
. La mansuetudine, tra l’irascibilità e l’indolenza;
La principale è però la giustizia in quanto permette, a chi la possiede, di utilizzare la virtù anche verso gli altri e non soltanto per se stessi.
È più semplice studiare questi argomenti attualizzandoli essendo parte di noi e della nostra cultura invece di imparare meccanicisticamente e poi dimenticare.

Cultura è ciò che resta dopo aver dimenticato (Giuseppe Addona).

Michela Rillo II F

mercoledì 22 ottobre 2014

Quanto cogliamo veramente in un testo?

Noi alunni di un liceo classico ogni giorno siamo abituati a dover affrontare con un vero e proprio spirito battagliero testi greci e latini che spesso risultano incomprensibili. Vediamo come muoverci al meglio in questo ambito.

Per cogliere appieno il contenuto di un qualsiasi brano tradotto è necessario tener conto di due elementi:

Molto spesso tutti gli alunni, presi dall'urgenza di imparare a memoria regole grammaticali e sintattiche, si soffermano troppo sulla forma, ossia sulle strutture prettamente meccaniche, dimenticandosi poi del contenuto.
La traduzione in senso stretto, in realtà, è solo la conditio sine qua non. Essa è dunque quell'operazione fondamentale per la comprensione del testo, ma è solo una delle diverse tappe per l'intendimento corretto e completo del brano. Il contenuto, che è all'epilogo di questo processo, è probabilmente una parte ignorata da moltissimi alunni, che, bloccati nella forma, hanno dimenticato
di godersene il messaggio.
E' bene, allora, dopo la fatica di una traduzione, riposarsi un attimo, spendere qualche minuto a rileggere quanto scritto e poi gustarsi con calma quel messaggio che emergerà. Di tutti i testi antichi, è molto più istruttivo ciò che essi comunicano, piuttosto che delle semplici regole studiate a tavolino!



II F
Anna Chiara Porcaro

martedì 21 ottobre 2014

La filosofia del linguaggio

A cosa servirebbe studiare una lingua straniera senza sapere perché la studiamo e soprattutto senza un confronto con il linguaggio di riferimento? Assolutamente a nulla, ne conseguirebbe un apprendimento mnemonico e freddo di essa lingua.
Partiamo subito con un esempio inerente alla lingua latina. Studiando questa lingua, ci è stato insegnato che la preposizione  "in" significa "dentro" e generalmente introduce un luogo e se vogliamo indicare uno stato, lo traduciamo in ablativo,  ma cosa succede se invece di un ablativo troviamo l'accusativo che è un caso diretto? Come recuperarne una significazione? Se "in" indica un ingresso e l'accusativo qualcosa che si presenta di fronte al soggetto, allora dovrebbe indicare l'accedere in un luogo o l'accingersi a farlo, un luogo generalmente pericoloso, un qualcosa di ignoto. Queste regole, però, non sono regole fisse e questo lo possiamo notare prendendo come riferimento tre diverse frasi:
Darius in Urbe ambulat
Darius Urbe ibat 
Caesar in Galliam ibat 
Nella prima frase il verbo "passeggiare" dà l'dea di non uscire dal luogo sicuro, costituito dalla città di Roma e ciò rappresenta lo stato in luogo. Nella seconda, invece, il verbo "ibat" l'azione del verbo sembrerebbe più consistente, tanto da farci pensare di poterci trovare di fronte un accusativo e non più un ablativo. Con un'analisi più approfondita, però, possiamo notare che il moto a luogo non appare richiamato perché non si esce per andare da qualche parte, per andare incontro ad una situazione di pericolo, ma ci si mantiene tra le mura amiche.  Nel terzo esempio, infine, la situazione cambia notevolmente, la Gallia non rappresenta più un luogo sicuro, conosciuto, ma un luogo ignoto, dunque pericoloso, tanto da farci usare non più l'ablativo ma l'accusativo. 
Siamo sicuri che tutto ciò basti per comprendere al meglio un testo latino? E se per arrivare in Germania Cesare dovesse oltrepassare un ponte per attraversare il Reno? Per coerente applicazione della logica portante dovremmo continuare ad usare l'accusativo, ma se in un testo classico trovassimo l'ablativo? A questo punto dobbiamo sicuramente chiederci il perché di questa scelta cominciando a porci delle domande. Il ponte citato è stato costruito dai Romani o dai Germani? Supponiamo che sia stato costruito dai Romani, quindi questi ultimi gestivano anche l'altra sponda del fiume, di conseguenza non sembrerebbe emergere il pericolo. Se poi sappiamo che dall'altra parte del ponte i Romani avevano posto anche una torre di guardia, ciò ci fa capire che il ponte può essere considerato parte integrante del luogo circoscritto. Tutto ciò conferma l'uso dell'ablativo al posto dell'accusativo. 
Da questi semplicissimi esempi emerge che l'unico modo per comprendere al meglio una lingua straniera, ma soprattutto una lingua antica come può essere il latino, ma anche il greco, è servirsi di una logica consistente atta a far emergere una cultura critica nonché una validità per lo studio di una lingua non più in uso.


II F
Antonio Coppola

lunedì 20 ottobre 2014

Lo sapevi che...


... cosa potremmo pensare noi di quel docente che accettasse subito una richiesta di giustifica da parte di un alunno? potremmo ritenere che lo faccia rispondendo ad una sua disposizione che lo porta ad essere buono o alla volontà  di fare il buonista? quali le conseguenze? il sorteggio eventuale interesserebbe un numero minore di alunni. gli "svantaggiati" (se svantaggio è) sarebbero questi. non sarebbe più giusto dunque che siano proprio questi ad esprimersi? Il professore infatti non risulta interessato dal sorteggio.
Per cui sarebbe opportuno che il docente prima di accettare una giustifica  chiedesse a coloro che subiscono il "danno". AVEVATE PENSATO A QUESTO PASSAGGIO CHE BEN POSSIAMO RITENERE FILOSOFICO E CHE INTERESSA EPISODI QUOTIDIANI?


                                                         -Sofia Maio e Anna Chiara Benedetto IC
Eraclito
Analisi critica: Il continuo scorrere degli opposti
“Congiungimenti sono intero non intero, concorde, discorde, armonico, disarmonico, e da tutte le cose l’uno e dall’uno, tutte le cose.”
Da qui emerge che Eraclito era abbastanza oscuro, probabilmente si realizza in questi termini pensando che non tutti possono capire e lui si esprime in modo tale da scioccare, da stimolare, da provocare.
Ora andiamo a vedere cosa ci dice.
I congiungimenti di ciò che si congiunge sono separati o divisi?
Se separiamo qualcosa è perche è diviso, quindi tutto quello che vediamo si congiunge secondo gli opposti (intero e non intero).
Ma dove si trovano questi opposti?
Nel logos, poiché rappresenta il tutto ed abbraccia sia intero che non intero. Anche se opposti gli elementi non fuoriescono da esso ma persistono al suo interno.
Ma allora il logos è confusione?
Potrebbe esserlo, ma se si tratta di un discorso organico allora si presenta come armonia. Lasciamo in sospeso questa domanda perché troveremo la sua risposta proseguendo nell’analisi critica.
In conclusione possiamo dire che tutti gli elementi si configurano nel logos.
“… e da tutte le cose l’uno e dall’uno, tutte le cose.”
Da questa affermazione scaturisce questa domanda:
“Eraclito è superiore a Talete, ad Anassimandro, ad Anassimene e a Pitagora, filosofi che abbiamo precedentemente studiato, o no?
Si, perché mentre Pitagora metteva il numero in uno e non sapeva bene se era uno solo o tutti insieme, o pari o dispari e di conseguenza non sapeva distinguere bene il singolo e il tutto, Eraclito afferma che il logos racchiude tutto e non ha bisogno di un principio, poiché esso stesso è il principio.
“L’opposto concorde e dai discordi bellissima armonia …”
Possiamo dedurre da questa frase la risposta alla domanda iniziale lasciata in sospeso. Mentre prima ci eravamo chiesti se sommando il tutto si ottenesse armonia o disarmonia, adesso abbiamo risolto il dubbio dicendo che il logos è armonico perché in esso prendono corpo tutti gli opposti e anche quando noi siamo discordi in realtà in esso siamo concordi e produciamo armonia. In sintesi, dagli opposti concordi e discordi deriva comunque armonia.
“Una e la stessa è la via all’in su e la via all’in giù”
Non distingue né la via in giù, né quella in su perché nel logos non esistono differenze, visto che alla fine, le differenze portano armonia. In questo modo ribalta i termini. Egli  pensa che nel principio da lui analizzato ci sia un’unica via, che partendo dagli opposti conduce all’armonia. Però, questo lo aveva già capito Pitagora dicendo che la terra non era sostenuta da nulla, poiché  non aveva modo di cadere su una parte più o su un’altra meno. Quindi già questo pensiero era stato conquistato.
“Il mare è l’acqua più pura e più impura …”
Dicendo ciò ci accorgiamo che inizia a parlare attraverso  esempi pratici, ma  allo stesso tempo, non è sufficiente per capire di cosa sta parlando, per questo vale ciò che abbiamo detto all’inizio, ovvero che Eraclito è oscuro.
“…Per i pesci essa è potabile e conserva la loro vita, per gli uomini essa è imbevibile e esiziale(dannosa, mortale).
Ora si chiarisce affermando che l’acqua del mare appare come unità dei contrari, in quanto è vita per i pesci e morte per gli uomini.
Ora citiamo il passo che tutti gli studenti di liceo ricordano:
“Negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo …”
Per capire cosa intende dire Eraclito facciamo un esempio:
Se mettiamo un piede in un fiume, scendiamo, ma siamo anche convinti di non farlo perché?
Perché mentre mettiamo il piede, l’acqua scorre e se intendiamo il fiume come acqua, ciò in cui mettiamo il piede non è più acqua, ma qualcos’altro, perché tutto è logos e non bisogna andare a trovarlo in una versione definita.
Poniamo l’esempio del lago, anziché del fiume. In quel caso scendiamo o non scendiamo?
L’acqua del lago è ferma, quindi potremmo non scendere, ma nel caso fossimo noi a trasformarci attraverso il processo della crescita o dell’invecchiamento, oppure se la stessa acqua divenisse vapore, non ci sarebbe un elemento definito, poiché tutto va a collegarsi con il suo opposto e torna nel logos.
“… nello stesso fiume non è possibile scendere due volte”
Questo perché sia l’acqua è passata, sia noi non siamo più quelli di prima.
                "Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re"
Il tutto si regge perchè c'è guerra, in quanto un contrario si oppone ad un altro contrario, però un contrario opponendosi ad un altro contrario genera comunque armonia, quindi tutto è logos.
"... e gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi e gli altri liberi"
Giustifica tutte le cose dicendo che si trovano nel logos e in questo si distinguono come contrari"
"Bisogna però sapere che la guerra è comune, che la giustizia è contesa e che tutto accade secondo contesa e necessità"
Bisogna quindi sapere che la guerra interessa tutti,è contesa e deriva dall'urto. Tutto accade secondo contesa, guerra e necessità. In questo modo organizza un discorso che non lascia al di fuori nessun elemento.

                                                                           Anna Chiara Benedetto IC

domenica 19 ottobre 2014

La ricostruzione dei fatti attraverso i diversi punti di vista

Siamo sicuri che tutto ciò che ci viene proposto, anche dai grandi autori del passato, corrisponda sempre alla realtà? Probabilmente non è proprio così e per dimostrarlo possiamo ricorrere direttamente ad un esempio.
Ci troviamo in epoca romana, precisamente durante lo svolgimento della seconda guerra punica e i Romani conquistano la città di Sagunto. Il saccheggio della città ci viene raccontato da due grandi storici dell'epoca: Livio e Polibio, ma in maniera molto diversa. Tito Livio, grande uomo romano, nella sua opera "Ab Urbe Condita" ci dice che i Romani conquistarono Sagunto e solo una colonna dell'esercito, sfuggita al comando, si dedicò alla strage e ai saccheggi. Polibio, invece, storico greco, narra che presa Sagunto, i Romani, così come da loro consuetudine, si dedicarono alla strage sistematica e uccisero tutti coloro che si trovavano dinnanzi, compresi i cani e gli asini, perché maggiore fosse il rivolo di sangue e incutesse timore. Come possiamo notare, la strage è la stessa, ma la notizia è diversa.
Questo semplice esempio ci serve per capire che non dobbiamo limitarci ad accettare passivamente tutto ciò che ci viene proposto! Al contrario, soprattutto nello studio della storia, è necessaria un'interazione attiva che favorisca il dialogo e il confronto tra le varie tesi che troviamo davanti a noi. Solo così possiamo rendere lo studio più piacevole, ma soprattutto atto a favorire la nostra crescita umana e culturale.

II F
Antonio Coppola

sabato 18 ottobre 2014

Filosofia e rapporti interpersonali: perché è così importante?



Capita spesso di provare un forte senso di incomunicabilità con chi ci è accanto. Si percepisce un'assenza totale di empatia seguita da frustrazione e delusione per l'atteggiamento altrui. A quel punto ci chiediamo il perché, si va alla ricerca dell'origine del dilemma e ci si domanda: ma il problema sono io o è l'altro?
Purtroppo non sempre certe questioni si risolvono, ma con l'aiuto del professore Addona, abbiamo provato ad analizzarle meglio al fine di premunirci per il futuro.

E' proprio vero: filosofare ed aprirsi alla cultura, mettendo alla guida delle nostre azioni la logica in particolare è fondamentale per qualsiasi tema ci si trovi ad affrontare, compresi i rapporti (in amicizia, amore e quant'altro).
Troppo spesso si rimane delusi da chi abbiamo davanti o capita di deludere l'altro, ma è possibile fermare questa piaga. Vi spiegheremo come partendo da un semplice esempio.

Supponiamo l'esistenza di un ente superiore, onnipotente in tutto e per tutto.
Questo imponente, maestoso e solenne Essere decide di offrire, a te che stai leggendo, la possibilità di disporre di qualsiasi virtù tu voglia per il resto della tua vita.
Molto probabilmente desidererai essere di bell'aspetto, colto, intelligente, sensibile, di buon carattere e anche economicamente ben sistemato, in modo da risultare quasi "perfetto" secondo la visione comune.
Ebbene, le tue richieste vengono soddisfatte. L'ente superiore t'accontenta con un movimento della sua mano divina e improvvisamente ti trovi ad essere una persona nettamente migliore.
Ora, in una relazione tra te e qualcun altro che non condivide le tue caratteristiche, chi sarà a trarne vantaggio? Certamente l'altro.
Egli infatti disporrà di un modello concreto a cui ambire o comunque da cui ricavare insegnamenti, esempi e simulazioni. Nel frattempo tu ti ritroverai in un sistema che non è per niente idoneo alle tue virtù, dove verrai incompreso, isolato, forse addirittura scoraggiato e malgiudicato...

Come porre rimedio?
Semplicemente crescendo culturalmente INSIEME.
Non esiste nessun mago capace di fornirci virtù con uno schiocco di dita; la crescita umana va effettuata passo passo, seguendo gli insegnamenti giusti. Ciò che conta davvero è muoversi tutti insieme. La società in cui ci troveremo tra qualche anno è la nostra, l'avremo costruita noi ed è necessario investire quanto più è possibile nello sviluppo culturale per tutti.
Ciò è fondamentale non solo per un funzionamento opportuno delle dinamiche sociali e politiche, ma anche per un miglioramento dei rapporti interpersonali: per eliminare le differenze, per potersi confrontare in maniera giusta ed equipollente e diciamolo..anche per evitare fregature, che, alla nostra età pesano davvero tanto!


P.S.
Noi alunni stiamo cercando di mettere in pratica quanto detto proprio tramite questo blog. Speriamo di star riuscendo bene!


II F

Anna Chiara Porcaro

Genitori e figli: istruzioni per l'uso!

Vi siete mai chiesti perché il rapporto tra genitori e figli è così conflittuale?
Esempio:
Genitore: Vorresti tanto tornare a casa all'una e fare il comodo tuo? Questa casa non è un albergo! Massimo le undici altrimenti non esci proprio! 
Figlio: Tu non capisci niente! I miei amici tornano più tardi, perché soltanto io devo rientrare così presto?
Genitore: Cosa fai in mezzo alla strada fino a quell'ora? Poi la gente parla. Coro: (meno male che c'è ancora qualcuno che nei paesini parla, squarciando l'individualismo urbano del nuovo uomo primitivo!).
Figlio: Sei all'antica! Sei rimasta all'era giurassica (figlio rivolto alla madre che è arrivata in difesa del capo famiglia. Meno male che la nonna, la zia, e il fratello maggiore, che si è dimenticato di essere stato adolescente, e deve mettere in mostra la già superata laurea con l'avviata attività professionale, sono fuori: chi a fare compere e chi in ufficio, che Dio sia lodato! O dobbiamo, forse, più semplicemente, ringraziare madre natura per la bella giornata, o il concorso dei venti e delle nubi che si sono neutralizzati a vicenda. Ci scusino i materialisti, qualche  volta citeremo anche voi!).
A siffatta affermazione, sembra puntuale arrivare una risposta del genere con un tono piuttosto alto, per non aggiungere gesti e modalità particolari! Ognuno infatti sembra recitare bene la propria parte come se fosse un originale. Anche noi figli non siamo da meno, quando ci torniamo poi a sangue freddo su quello che abbiamo fatto, con dei pianti che vorrebbero scompaginare quando non solo a pagare le aspettative mancate e fortemente volute.
Genitore: Vuoi comandare solo tu! Io sono tuo padre, finché sei sotto questo tetto e ti 'campo', fai quello che dico io!
Figlio: Tu mi hai voluto, non ho chiesto io di nascere alzando il dito prenotandomi! 
Si potrebbe andare avanti così...

Ma andiamo alle valutazioni, sforzandoci di tenere conto delle varie posizioni:
Sembrerebbe emergere che se ognuno resta immobile nella propria posizione, volendo solo affermare le proprie tesi o il proprio vantaggio, l'urto sia inevitabile.
Il problema alla base in un rapporto conflittuale è dato infatti da una mancanza di identificazione dell'uno nell'altro. Soprattutto i genitori si appellano a ciò che fanno per un figlio, e i figli al loro voler essere, a prescindere da ogni limitazione, quasi che il mondo dovesse risultare da una loro espressione, tranne quando la demandano al gruppo per fare branco!
Salomon Fritz Perls, in quella che è conosciuta come 'Preghiera della Gestalt' (dal tedesco letteralmente 'forma' legata in genere a 'Teoria della forma' 'Gestalttheorie') disse: "Io sono io e tu sei tu, io sono la mia vita, tu la tua, io non sono al mondo per soddisfare le tue aspettative, tu non sei al mondo per soddisfare le mie".
La causa di fondo di un rapporto problematico potrebbe derivare dall'eccesso nei comportamenti per quanto riguarda i metodi di educazione e di crescita che i genitori adottano nei confronti dei figli. E qui il discorso si allargherebbe fino a comprendere la crescita nell'educazione e quindi la validità di questa in quella. Non sarebbe educativo, infatti, bloccare lo sviluppo del soggetto; tuttavia, senza alcuna identificazione questo stesso avrebbe difficoltà a ricercarsi. Sembrerebbe questo il connubio ideale dal quale deriva il giovane e il futuro cittadino. Un tale discorso appare ancora investire in pieno l'intera relazione che vede l'alunno di fronte alle Istituzioni Scolastiche, le quali non possono associarsi a nessuna delle due tipologie.
Conclusione: una soluzione al problema sarebbe trovare un punto di incontro tra le due parti basato soprattutto sulla fiducia e il rispetto reciproco. 
Rillo Michela II F
Coppola Antonio II F
Mazzeo Gianluca II F
Caporaso Luigi II A
Messere Lucia III C
Forni Mario III C