giovedì 28 maggio 2020

Intervista a Professore Giuseppe Addona

Il giorno 17 febbraio 2020 gli alunni del Liceo Classico Pietro Giannone, classe IID, hanno deciso di condurre un'intervista al loro noto professore di filosofia Giuseppe Addona, autore di molti saggi filosofici tra i quali, per citarne alcuni, "La determinazione sociale dell'individuo" del 2014 , o il più recente del 2017 " Prassi e ragione " pubblicato nel 2010. Oggi il filosofo è in contatto con moltissimi esponenti della cultura italiana ad internazionale quali Nino B. Cocchiarella, e fu soprattutto allievo del più illustre maestro di fede e di cultura, Michele Malatesta, venuto a mancare nel 2018. A rapporti ottimi con i suoi allievi il professore ci ha fornito esperienze ed insegnamenti utili per la crescita personale e formativa della nuova generazione.

"Ricordo che già da ragazzo quindicenne mi ero posto il problema di come ritenere un qualcosa giusto e valido, è chiaro però che allora, non avendo le conoscenze che ho oggi, non percepii subito che si trattava di riferimenti. Posso affermare infatti che una cosa è giusta solo se la posso associare, ovvero se posso constatarla corrispondente o meno, all'idea di giustizia. Proprio per risolvere il problema che faceva sentire fortemente la sua voce pensai di portare avanti gli studi della filosofia. Diceva infatti un mio amico farmacista di Seriate: " Siccome il primo cliente della farmacia sono io, ho fatto bene gli studi per potermi curare bene". Io, come lui, volevo capire in cosa consistessero l'innamoramento, il cosiddetto "comportarsi bene", i rapporti con gli altri e quanto ancora risultare valido proprio perché esplicato. Capii così che bisognava, per approfondire esse tematiche, andare a studiare siffatti argomenti. Se partiamo dai particolari, avremo, ciascuna volta, conseguenze a questi relative. Non disponiamo, in questo caso, di un parametro per poter rapportarci efficientemente con gli altri, ovvero per riconoscere comportamenti e relazioni, fatto questo che significa, in ultimo non potere riconoscere noi stessi. Da ciò si evince che quelli che non fanno filosofia, ossia non si dedicano a riflettere su essa unità da rintracciare, non possono prima o poi non venire in contraddizione, seguendo soltanto quelle che sono le motivazioni, a meno che una ragione universale non venisse in loro soccorso. Apre così il filosofo Addona l'intervista in risposta alla prima domanda: A che età avete intrapreso gli studi della filosofia e perché proprio questa disciplina? Mi indirizzai su una tale strada proprio per trovare un sostegno a quanto veniva via via a dispiegarsi. Si trattava di cercare le connessioni ai fatti che si dispiegavano e che arrivavano puntualmente ad investire e che potevano far sperare in una risoluzione procedendo con quelle analisi approfondite che peculiarmente la filosofia pone in essere.

E legata a questa prima subito la seconda domanda: “In quale filosofo vi rispecchiate e per quale motivo”: Penso che, come tutta la cultura occidentale dalla quale noi deriviamo, il primo filosofo a cui rifarsi debba essere Socrate, anche se come ho scritto in "Una scuola per una cultura possibile" lui distingueva i pregni dai non pregni e sapeva benissimo che quelli che non avevano nulla da offrire non potevano essere suoi allievi. Faceva già dunque una selezione, anche se questa avveniva su elementi rappresentativi delle possibilità stesse di poter esprimere qualcosa. Ricordo al liceo Mamiani quando in una normale discussione con i miei allievi, feci presente che nessuno dovesse essere accantonato ma, al contrario, bisognasse spendere tutte le energie per portare ognuno al discorso intersoggettivo che permette la vita senza troppe contraddizioni. Chiaramente io, come ho anche scritto in "La determinazione sociale dell'individuo", in qualità di filosofo teoretico vedo nei filosofi parti eccezionali e contributive miste ad elementi che invece non possono reggere, fatto questo che non sempre le scuole portano alla luce. Unitamente, infatti, a quanto ritenuto al massimo livello si fa studiare ai giovani alquanto materiale piuttosto semplice quando non superato o addirittura non coniugabile con la restante parte espressa e che, pure, l'autore oggetto di studio si porta dietro. I giovani, costretti ad imparare quello che talvolta, se non spesso, risulta un coacervo di notizie, pervengono a costruirsi un concetto pesante di quello, che finisce con il risultare anche fastidioso da apprendere e comunque non è visto rispondere ad una logica e costruttiva.

Se facciamo mente locale al principio di identità di Aristotele e al principio di contraddizione di Hegel di certo dovremmo recepire che uno contraddice l'altro. Resterebbe così quantomeno superato, alla luce della scoperta successiva e dalla dialettica rappresentata, il principio di Aristotele. Addentrandoci nelle riflessioni riusciamo a scorgere che Aristotele aveva compreso che non si può pensare una cosa ed esprimerla se non si hanno così come riferimenti ulteriori il tempo e l'aspetto. In questo caso a essere richiamato è il secondo principio, ovvero quello forte, cosiddetto di non contraddizione. Hegel, che aveva colto che proprio il passaggio di essa cosa in altro rappresenta il motore della realtà, pure non può non riconoscere che nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto un qualcosa o è o non è benché per lui un riconoscimento non venga a prodursi che per il passaggio antitetico e quindi per la sintesi. Se qualcuno gli chiedesse come fai a riconoscere una tesi prima che si sia prodotta la sua antitesi Hegel non potrebbe che rispondere che una conoscenza di una cosa non può prescindere dall’opposizione per la quale appunto arriva a essere rappresentata. Lo stesso intelletto statico così come astrattivo dovrebbe essere individuato per la ragione che antiteticamente procede. Se tanto è visto valere per quanto attiene all’ambito umano che riconosce il precedente stato con il superamento di esso e per quello storico pure per quanto attiene ad una fisica o alle scienze cosiddette della natura non può non valere essa identificazione per la quale una comprensione e una comunicazione risultano possibili: un paziente a cui sia somministrata una soluzione o migliora o non migliora. Una linea o una figura o sono uguali a se stesse o non lo sono. In casi come questi a non risultare applicato è il superamento ovvero esso passaggio dialettico. Al riguardo a valere è quanto fatto emergere da Malatesta in “Dialettica e logica formale”, Liquori Editore. Le due individuazioni non sono in contraddizione perché riguardano quantomeno aspetti diversi o, più specificamente, si rifanno a riferimenti diversi. Da tanto l’importanza delle riflessioni e delle riconduzioni. Perché privarci della comprensione, volendo attenerci ad un qualcosa di molto vicino, che l'amico nel quale l’altro arriviamo a rispecchiarci fino a rincorrere quanto infatti non constatiamo in noi stessi e che crediamo di non raggiungere e che però ad un certo punto rileviamo avere addirittura a superato, fatto questo che conduce alla rottura dell'amicizia allora che solo su tanto incentrata, tenuto conto ormai che non c'è più bisogno di un tale modello? Tanto non urta con quel primo principio. Proprio un tale processo rappresenta un filosofare che continua anche se non sempre dai giovani posto in essere. Si tratta di individuare, dunque, esse grandi scoperte considerando al solo livello storico quanto non perviene ad essere ritenuto valido alla luce dei parametri emersi. Tanto vale in modo emblematico per l’Aristotele della logica e della fisica o ancora per quello dell’Etica e della Metafisica. Si tratta, quindi, ciascuna volta, di riconoscere quanto mancante a sostegno e cercarlo con quell’indagine che si dice filosofica così come Cocchiarella ha individuato a proposito della stessa logica che è vista necessitare del sostegno filosofico.

Conclude così questa breve ma approfondita intervista Il Professore Giuseppe Addona.

A cura di Mariarita Matrone IID