lunedì 17 dicembre 2018

LA CRITICA

Critica è quell'attività consistente nell'analisi e nella valutazione di un contesto approntando riferimenti e rivisitando relazioni.

Non si tratta di quella, dunque, che comunemente è ritenuta una critica come giudizio negativo quando non pettegolezzo classico. Si tratta, nel caso scientifico ed umano di far emergere quel qualcosa che pure è stato posto in essere così che un discorso giusto possa pervenire a rappresentazione senza che a risultare nascosto sia quanto potrebbe essere richiesto di valere diversamente. Ad essere commerciato, infatti, in tal caso, sarebbe un qualcosa al posto di altro con le falsificazioni e le ingiustizie appunto che una tale operazione si porta dietro. Opposta, una tale critica, rispettosa per quanto possibile comunque della persona, che è chiamata in causa come parte di essa società che rischia di essere manomessa nei termini portanti, allora che a darsi siano occultamenti, da un diffamare azione vile volta a far ricadere su qualcuno quanto invece, in nessun modo, a questo attiene. Tacere così e parlare si trovano a rispondere alla medesima impostazione, rispondendo in un caso alla giustizia e in un altro al suo opposto deleterio. 

Mariagiulia Pino I C da una lezione del prof. Addona

 

giovedì 6 dicembre 2018

MARX È ANCORA TRA NOI?

Analizzando la figura dell’operaio, Marx afferma che questi, durante il processo produttivo, si estranea dalla merce che produce, in quanto non la genera per se stesso né sa che pezzo è né chi lo ha ideato né a quali altri pezzi sarà assemblato. Potremmo paragonare questo processo di alienazione che interessa l’operaio a quello posto in essere da un docente, che nel momento in cui spiega senza mostrare come il fatto emerge, produce anch’egli un lavoro che estrania e che si riversa sull’alunno, benché quello possa sembrare soddisfatto di avere propinato qualcosa che giunge a ritenere come cultura e al punto magari da farlo sentire anche piuttosto importante. Un discorso simile appare interessare quel discente che si compiacesse di vedersi riconosciuto con un voto il lavoro profuso ad acquisire una siffatta mole di elementi. Non dunque una cultura pagante per se stessa ma conoscenze alle quali arriva ad essere assegnato un riconoscimento.

La seconda fase di alienazione che Marx analizza è quella che interessa l’operaio stesso ovvero il suo essere. Portando avanti un lavoro estenuante oltre che estraniante, l’operaio arriva a negare se stesso che non trova infatti corrispettivo alcuno per rilevarsi al di là di tanto. Se l’unico posto per affermare se stessi è per gli operai fuori dall’ambito lavorativo pure in una tale situazione non trovano alcunché per cui realizzarsi. Sollo allora, dunque, che risulti possibile riconoscersi come esseri e non quali macchine produttive ci si può incontrare con gli altri per un rapporto intersoggettivo. Ove tanto non accada come appare possibile altresì riscontrare in alcuni impiegati, i quali pur non svolgendo un lavoro interamente alienante pure non riescono a trovare se stessi per elementi che possano supportarli quali soggetti riconoscibili. Proprio costoro avvertono fortemente il bisogno di evadere, di viaggiare, di esprimersi in superficialità ovvero di recuperare apparenze nelle quali immergersi quasi rappresentassero la realtà nella quale ritenere di vivere. Essi sembrano autoconsiderarsi con il porre in essere quanto anche da altri portato avanti. Tanto appare rappresentare un loro meccanicismo al di là della macchia alla quale pure non sono legati. Tornando all’esempio dei professori appare evidente che se costoro non fossero soddisfatti del lavoro svolto giungerebbero, da un lato, a negare se stessi e, dall’altro, fatto ancora più grave se tanto pure possa risultare, a risucchiare gli alunni in un tale prodotto che, esterno, non potrebbe che arrecare, almeno in larga parte, fastidio.

Un altro grande problema della società è rappresentato dall’individualismo, contrario a quell’umanità nella quale a rientrare sono gli altri. Umano, infatti, è colui che percepisce l’altro uomo e spesso ogni altro essere come se stesso, immedesimandosi fino a compiangerlo in caso venga a trovarsi in una situazione spiacevole.

Un’altra contrapposizione che si viene a creare consequenzialmente alla mercificazione dell’operaio è quella rispetto ad altri uomini. Allora che l’unico obiettivo dell’operaio sia quello di lavorare per guadagnare il sostentamento necessario alla propria esistenza egli è visto restare totalmente estraneo al rapporto con gli altri. Egli non trova né tempo né elementi per potersi relazionare al di là dunque di quello stretto ambito esistenziale nonché sulla famiglia incentrato, non dandosi possibilità di allargamento alcuno di quelle relazioni che arrivano ad interessare un essere tra gli altri che consapevolmente e liberamente si esprime. La merce, ove a non darsi sia una coscienza di presentarsi per essere, diventa il metro con il quale ci si valuta e così tanto padrona della vita dell’uomo al punto che, se qualcuno vede che qualcun altro ha qualcosa in più di lui, rincorre questo dal quale ritiene dipendere una sua consistenza perdendo proprio il suo essere più peculiare pura.

LEZIONE DEL PROF ADDONA RIPORTATA DA CHIARA DE MIZIO, IIIC


IL DIVERSO

Il diverso è ritenuto pericoloso, poiché comportandosi in modo a noi non noto, risulta propriamente un’incognita da cui un probabile pericolo. Il non conoscere, quindi, porta a ritenere quello stesso un nemico. Da quanto non consueto ci si può aspettare che possa derivare, infatti, qualsiasi cosa.

Prendiamo in esame l’arrivo di un naufrago su un’isola. Costui quando non ritenuto un predone appariva comunque necessitare di cibarsi e tanto non poteva avvenire che a spese del territorio abitato. Il discorso si faceva più consistente se ad arrivare fosse stato un gruppo nonché in possesso di alcune armi scampate alle peripezie. Il pericolo veniva a essere rappresentato dalle forze in campo con quanto potessero predare mettendo a rischio la vita stessa di alquanti abitanti. Ecco allora l’importanza della presentazione e della richiesta di essere accolti non come nemici ma uomini da ospitare. Ad intervenire, a questo punto, era la ritenzione di tali elementi con le traduzioni del caso. Qualcuno poteva spacciarsi, infatti, come re di qualche territorio lontano spinto, in quei luoghi, dai flutti. Si trattava di scoprire i millantatori e valutare i vantaggi derivanti da una tale ospitalità. Tanto ancora a prescindere da un discorso da una umanità portato.

Affrontiamo ora il rapporto tra i primi cristiani e gli altri cittadini dell’antica Roma. Quelli proprio riunendosi nelle catacombe per organizzarsi destavano sospetti di muoversi diversamente. I Romani pagani si chiedevano ovviamente se stessero per tramare qualcosa ai loro danni, ritenendo magarsi che non vi fosse motivo di nascondersi, essendo liberi di praticare la loro religione così come accadeva a tutte le altre tollerate a Roma. Sarebbero stati considerati pericolosi per lo stato se non avessero pagato i tributi o se avessero arrecato danno all’Impero. I Cristiani credevano nell’uguaglianza essendo tutti figli di Dio ed aspettavano l’arrivo di quel regno anche se Gesù aveva precisato che il suo fosse il regno dei cieli. Proprio una tale Fede arrivava a dividere i valori di un mondo dall’altro.

I Cristiani allo spirituale associavano il materiale. Non risultava, infatti, concepibile che gli uomini potessero dividersi in padroni e schiavi. Proprio l’opposizione a esso stato, sulla schiavitù incentrato, destava preoccupazione agli ottimati e a tutti coloro che avevano da perdere da una scomparsa di quella.

Allora che si arrivava in uno Stato o in una Regione per convertire le persone, chi tanto predicava veniva dichiarato nemico da coloro che avevano da perdere da tali concezioni. Chi entra in uno Stato senza documenti o permessi dovrebbe essere considerato similmente un nemico? Dipende dai riferimenti. Se a essere considerata è la ricchezza prodotta dai nuovi venuti questi sono accolti favorevolmente. Diversamente sono visti da coloro ai quali si vedessero sottratto un lavoro o occupate da quelli posizioni quali che possano risultare. Dato uno stato chiuso e con le sue leggi, queste dovrebbero essere applicate fermando gli arrivi e tutelandosi, quindi, da questi. Potrebbe accadere l’esatto contrario allora che queste stesse prevedessero un ingresso magari sottoposto a talune disposizioni. Uno Stato potrebbe andare a prelevare persone senza aspettare che rischiassero la vita in mare per giungere sul territorio di quello. Si tratta di risalire a motivazioni e condizioni tramite una indagine critica su una logica incentrata fino a scoprire se una tale logica venga ad essere aggirata o semplicemente non considerata.

La filosofia già dall’età classica, quindi da duemila e cinquecento anni almeno, è riuscita a fare emergere la figura dell’uomo, che per essa si connotasse, quale apolide. Per una tale concezione risultava superato il confine netto rappresentato dalla compagine statale solo nella quale si poteva sentirsi garantiti. Da esso stato infatti dipendevano la vita e la stessa libertà. Fuori da esso non si poteva che essere alla mercé di chiunque disponesse di una forza per imporsi fino a rendere schiavi coloro che non potessero difendersi. Un posizionamento diverso non può che risultare per una ragione nella quale ritrovarsi con quelli che cessano di dispiegarsi per avvertire sensibili e in risposta ad istinti per esplicarsi per essa universalità che non appare necessitare di confini e relative tutele statali. Al di là di tanto a esprimersi sarebbe un esistente che non si affiderebbe ad individuazione alcuna. Ciò non lo esimerebbe tuttavia dalle relazioni che andassero a prodursi così come di fatto è visto accadere. Proprio da tanto appare mergere la differenza di fondo tra una libertà filosoficamente ovvero scientificamente riconosciuta ed una che non si connettesse a riferimento alcuno, fatto questo che non porterebbe ad identificare quella ma a recepirla come ogni altro elemento ancorché nel suo non sentirsi vincolata ad alcuno di questi.

Oggi al posto dei vari gruppi rivali, se non avversari o solo estranei, a presentarsi è l’uomo che tra l’altro è tutelato da riconoscimenti e convenzioni internazionali almeno fino a quando queste riescono a far sentire la loro voce. Si tratta, dunque, di superare le antiche divisioni e di applicare la considerazione di soggetto facendola combaciare con quella di cittadino. Un tale passaggio non può che risultare ancora politico e, prima ancora, filosofico. Si tratta di far combaciare mentalità scientifica, su una umanità incentrata, e potere. Ciascuno deve chiedersi quanto è disposto a lasciare all’altro di fronte e quindi a colui che arriva. Su cosa fondare il proprio essere allora che questo sia almeno intravisto tra quanto richiesto dai vari impulsi.

Fino a che punto, in ultimo, si è disposti a far partecipare gli altri del proprio stato e delle proprie sostanze allora che ciò tenga il posto di quel soggetto che si constata parte dell’altro in una umanità su una sensibilità incentrata e da una ragione riconosciuta?