domenica 4 giugno 2017

IL VARIARE DELLA CONCEZIONE DI CORAGGIO

il termine coraggio sta ad indicare al giorno d'oggi piuttosto una mancanza di paura e, dunque, quasi una non coscienza del pericolo che incombe su chi si accinge a compiere un’azione nella quale potere perdere anche la vita. Coloro che non hanno percezione né idea alcuna del pericolo che stanno correndo, quali ad esempio bambini che infilino le dita nella presa elettrica, non possono ritenersi coraggiosi ma semplicemente incoscienti. Quelli che venissero uccisi da una bomba, all'improvviso, in un posto X senza esserne consapevoli, devono essere definiti vittime. In costoro, infatti, non è presente quella consapevolezza di operare o di trovarsi in un luogo nel quale tanto possa capitare e tuttavia affrontato per un dovere universale quando non verso una società ed uno Stato. Appare evidente che perché una morale si dispieghi necessiti quello scarto tra quanto possibile ottenere come vantaggio e il rifiuto di esso per la generalità verso la quale si tende. Nel caso di un incendio vasto e devastante se qualcuno si tuffasse a salvare qualcuno in cambio di una cifra magari molta alta e non per quell’umanità per la quale sia pronto a mettere in pericolo se stesso per salvare in primo luogo anziani o bambini non potrebbe essere considerato eroe. Il vero coraggio non può che risultare sganciato da interessi materiali, dovendo rappresentare una virtù da cui la stessa ammirazione da parte di chi si trova a valutare un tale gesto. Si tratta, dunque, sia della conoscenza del pericolo che incorre e dei rischi che questo comporta fino a superarlo per posizionarsi su quella universalità dalla quale il soggetto. Diversa dunque la valutazione interessante soldati in battaglia consapevoli di potere morire e di altri ancora che varcassero le linee nemiche per produrre un’azione a vantaggio del proprio esercito e dello stato di cui si sentono cittadini. In quest’ultimo caso la fine non è silo calcolata ma si procede incontro a quella che può essere, nell’altro, la cessazione volontaria del proprio esistere. In un mondo nel quale a regnare è per lo più un’assenza di valori si tende a “valorizzare” ogni elemento utile per disporsi almeno per un momento fuori da quell’individualismo che alla fine solo abbrutisce.

Utilizzando, dunque, il termine “eroe” in un modo non consono, dando una concezione deformata al sostantivo, si perde la concezione storica di questa parola, giungendo ad accomunare, fatto questo che significa falsificare la sua significazione. In termini diversi: Quando la parola eroe arriva ad accomunare Achille, Ettore, Muzio Scevola a tanti altri a coloro ai quali, incidentalmente, per citare un caso estremo, sia caduta magari una tegola in testa per il forte vento significa indirizzarsi ad un disorientamento dal quale a derivarne non può essere sviluppo critico alcuno dal quale una società non può, in ultimo, che dipendere.

Una lezione del prof. Addona riportata da Chiara De Mizio, I C.

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