lunedì 19 gennaio 2015

A proposito di cultura e di metodi scolastici

L’insegnamento non deve essere semplicemente un insieme di contenuti offerti, poiché se così fosse verrebbe acquisito dagli alunni in modo passivo, senza soddisfare le richieste soggettive di base. Al contrario, deve proporsi di spiegare i meccanismi e i diversi approcci, a cominciare dal “perchè” di un determinato fenomeno, per poi poter interessare tutte le diverse categorie. Bisogna diffidare dunque da una cultura fondata su frasi del tipo “è così” o “si fa così” pronunciate con toni solenni, ma la cosa necessaria per una vera crescita culturale è comunicare le esperienze di altri proponendole nei loro passaggi, per far sì che possano diventare “soggettive”. Ad esempio, quando un professore spiega una lezione, non bisogna semplicemente recuperare la parte spiegata, ma percorrere la via che conduce alla logica portante dell’intero ragionamento. L’insegnamento si basa dunque sul proporre una via e le giuste condizioni per la trasmissione delle proposte. 
Preoccupante appare la situazione che siamo vivendo al giorno d’oggi in Italia e per esplicarla al meglio possiamo subito fornire un esempio.
Qualche tempo fa, un redattore capo di una tv mandò la sua troupe a fare un’intervista sulla scuola ad un professore. Queste furono le parole del professore: “Gli Stati Uniti, paese imperialista e capitalista sanno che che cultura è potere, tanto è che loro la misurano in termini economici: io rettore dell’università di Harvard, ad esempio, non posso permettermi il fisico numero due, ho bisogno del numero uno, altrimenti la mia università non è più la prima; faccio quindi un indagine di mercato e mi prendo il meglio per essere coerente. L’Unione Sovietica, dall’altra parte, appariva coerente con il proprio sistema: il bambino che aveva tendenze per la fisica, veniva selezionato e a spese dello Stato diventava, se continuo nella crescita, l'eventuale fisico numero uno del mondo. In Italia dove sembrava in vigore un sistema ibrido, non si sapeva se la cultura dovesse essere riservata ad alcuni in base al capitale o se offerta a tutti per il "socialismo" in atto. Tenuto conto allora, che cultura è potere, cosa ne conseguirebbe in uno Stato se una cultura fosse proposta su larga scala? Ovviamente sul mercato arriverebbero persone più preparate, l’industria se ne avvantaggerebbe ma chi ci perderebbe sarebbero coloro che hanno di più. Allora forse taluni ritengono di non far emergere una cultura a tutti, così che quelli allontanati possano risultare più facilmente gestibile.  Se cultura non ci fosse affatto allora società e Stati si troverebbero a dipendere da altri i quali, portando avanti le loro scoperte, arriverebbero a trattare le restanti parti quasi come colonie. Forse una via mediana è quella di produrre cultura, ma a pochi? In questo modo la società ritiene di salvarsi? Se questo è l'obbiettivo come si potrebbe raggiungere? Semplice. Se cultura è quella proposta dai docenti allora una parte dovrebbe produrre e l'altra mantenere. Inutile dire che l’intervista non è mai passata. Vogliamo provare a vedere invece cosa può derivare da un discorso culturale generale ed umano? Proprio in un tale contesto potrebbero essere sviluppate le potenzialità di tutti e corretti gli attriti per la considerazione che ad una sensibilità e ad una umanità appartiene. A riguardo basti tener conto di quanto ciascuno di noi almeno un momento di disponibilità è pronto ad esternare rispetto ad altri, nonchè, a livello scientifico prodotto in "che significa essere umano" elaborato dallo scienziato Nino B. Cocchiarella, presente sul suo sito o in versione italiana sul sito di Giuseppe Addona. Nonché trattato dallo stesso Giuseppe Addona in "La determinazione sociale dell'individuo quale soggetto in una dimensione umana e politica" Edimedia 2014. 

Ancora più grave risulta ciò che si può trovare scritto su alcuni libri scolastici, anche su quelli che vengono considerati come “i più famosi”. Leggendo su uno di questi una spiegazione su Bacone e Aristotele, troviamo scritto: ”L’induzione aristotelica era un’induzione puramente logica”,in realtà sappiamo che  Aristotele osservava e catalogava, quindi procedeva tramite esperienza. Aristotele non proseguiva pertanto solo a livello logico perché  erano gli Scolastici che tendevano a derivare conclusioni da assunti. Vogliamo chiederci quanto la scuola italiana sia andata oltre quella "schola", o forse regredita? Gli Scolastici almeno partivano dal testo per chiedersi i pro e i contra. Oggi invece spesso si fornisce la soluzione senza portare gli alunni a raggiungerla con il ragionamento. Tanto possiamo chiamarlo nozionismo o tecnica. Tornando a quel libro ipotetico, subito dopo  troviamo scritto che Aristotele andava a vedere i casi particolari. Non si rendeva conto quell'autore delle contraddizioni che forniva?  Se infatti si procede per logica, non si procede per esperienza e viceversa!  Se in un libro trovassimo questo ed altri errori di siffatto genere ed un professore non fosse in grado di capirli e di spiegarli agli alunni, questi ultimi apprenderebbero passivamente un risultato oltre che un metodo completamente errato. 
Invitiamo i ragazzi a esprimersi per procedere insieme. Aspettiamo i vostri commenti a questo articolo e ce n'è da dire...

Antonio Coppola II F

Nessun commento:

Posta un commento