lunedì 17 ottobre 2016

ORIENTAMENTO IN UN DISCORSO

CLASSE: I C
                                       PROFESSORE: Giuseppe Addona

APPUNTI DI FILOSOFIA
             15/09/2016

Perché prendere appunti?

Per poter ricomporre quanto emerso e produrre su tanto le riflessioni.

Come procedere in una tale operazione?             

Appuntare sembrerebbe indicare quel fissare, per iscritto soprattutto, un minimo perché sia poi ricostruito quanto venuto fuori da un incontro che possa essere rappresentato da lezioni, conferenze o quanto altro. Va da sé che non è il caso di riportare quanto già presente in un libro e soprattutto specificato nelle note. Appare funzionale dotarsi di strumenti che possano permettere una registrazione nel minor tempo possibile. Una penna, dunque, dall’inchiostro scorrevole nonché impugnata nella maniera più funzionale: porre le dita quanto più possibile distanti dalla punta. Il movimento prodotto in tali termini si amplia benché a risentirne sia la precisione che in questo caso cede il posto al numero di elementi da rilevare e in un tempo ridotto. Diverso il discorso per la bella copia dove a valere è, appunto, il contrario: una penna con inchiostro che non macchi e le dita più vicine alla punta per ottenere una maggiore precisione.

 

LO STUDIO

E’ importante concentrarsi al più presto sugli argomenti affrontati in aula portando avanti correlazioni e facendo leva su riferimenti fatto questo che equivale a dire porre in essere una critica. Ove non si procedesse, giorno per giorno, in siffatte analisi ed organizzazioni, facendo leva su appunti relazionati ai testi e individuando gli elementi portanti al punto da porre in essere una organizzazione ancorché aperta, fatto questo che significa comprendere un discorso nella sua generalità recependone, appunto, i termini chiave ai quali correlare fatti specifici, ma si studiasse in vista di una interrogazione accumulando materiale non criticamente collocato si preverrebbe ad un nozionismo che anche a medio termine scomparirebbe per lasciare il posto piuttosto ad un vuoto quando non ad elementi sganciati e senza possibilità alcuna di essere ricondotti ovvero compresi, fatto questo solo per il quale appare possibile parlare di cultura che interviene non appena richiamata. Essa è infatti ritenuta come ciò che resta dopo che si è dimenticato. Il professore Addona nel libro Una scuola per una cultura possibile, Bonanno editore fa presente che è inutile far imparare argomenti che poi si dimenticheranno. Si appesantisce infatti inutilmente la mente, la quale finiti gli studi scolastici “resetta” tutto spazzando via quanto con molti sforzi inculcato.

 

FILOSOFIA

Si tratta ora di approcciarsi alla Filosofia, avremmo potuto cominciare dal famoso “Che cos’è Filosofia?” Come molti libri propongono o magari chiederci, come ancora avviene in molti manuali, “Perché questo modo di approcciarsi al mondo sia nato in Grecia?”

 

Se è possibile capire abbastanza cosa sia filosofia soltanto dopo un percorso perché da esso emerge il suo “essere”, tuttavia possiamo avvicinarci ad essa partendo da fatti accaduti. Capire significa comprendere il tutto;

Siamo partiti da un fatto:

 “Hai mai giudicato un’amica?”

 “Hai mai raccontato che lei si è comportata male?”

A rispondere è una ragazza:

 “Se dico che si è comportata male debbo chiedermi a cosa risponde il mio giudizio.”

 “Gli elementi espressi da lei coincidono con quelli che io mi aspettavo?

Se quindi io sono rimasta male, significa che quanto proposto è venuto ad urtare con le aspettative. Proviamo a simbolizzare:

Con “C” intendiamo Comportamento;

Con “A” attesa;

Con “N” non;

Con “Ar” arrabbiatura;

Con “NA” non attesa;

   C = A → N Ar

   C = NA →Ar

   N Ar → C A

Emerge quindi che noi ci arrabbiamo quando il comportamento dal quale risultiamo interessati è diverso dalle nostre aspettative e nel momento in cui lo comunichiamo reputiamo che queste coincidano con coloro che ci ascoltano.

Stiamo filosofando! Ad emergere da un tale discorso è già un significato di filosofia: ricondurre i termini a qualcosa che possa sostenere quanto espresso.

Proviamo a chiedersi ora cosa significa riflettere

                   Già attenendoci a quello che possiamo recuperare dalla parola ri-flettere, oltre che dal latino, ad emergere è un piegare all’indietro e procedere su tanto nuovamente.

Tanto significa che non bisogna recepire un qualcosa che risulti espresso da una sola direzione ovvero così come proposto e per le connotazioni che arriva da subito ad acquistare ma recuperare anche quella “opposta”, rappresentata dalla via percorsa in senso contrario nonché ripercorsa fino, possiamo aggiungere, a trovare altre relazioni dalle quali a dispiegarsi siano ulteriori configurazioni.

In un caso, dunque, le predicazioni risentono di un riferimento e nell’altro di un altro riferimento e di altri ancora. Ad emergere è quindi una visione sempre più aperta man mano che ad aggiungersi sono riferimenti.

 Appare possibile così elaborare vari parametri e punti di vista che possono supportare e correggere quello che è stato detto in precedenza. Con le riflessioni quindi appare possibile integrare e correggere quanto ad un primo impatto ritenuto.

Se non lo facessimo cosa ne conseguirebbe?

Emerge con evidenza che resteremmo ancorati e quindi chiusi in quella prima “concezione” laddove, proprio dall’apertura può derivare la possibilità di correggere sviste o errori.

 

I COMPORTAMENTI

Comportamenti impulsivi, ovvero istintivamente e istantaneamente posti in essere, possono risultare denotativi di quanto arriva a caratterizzare nel modo più peculiare un esistente oltre che cogliere obiettivi. Quali garanzie abbiamo, tuttavia, di aver operato nel modo migliore, ovvero in una espressione tale da reggere soprattutto rispetto ad altre? Ad emergere, da subito sono correlazioni e quindi quella riflessione già considerata. Valutando appunto modalità e riferimenti ulteriori, possiamo pervenire ad allontanare quelle posizioni rivelatesi non sostenibili né apportare i maggiori vantaggi ad esso esistente e, soprattutto, consentire a esso soggetto di non esprimersi magari in una contraddizione.

Si tratta di cogliere, dunque, accanto ad una funzionalità, una giustizia e quindi l’essere di quello che, diversamente, si presenterebbe solo quale un esistente non valutato in un tempo e quindi nelle relazioni per le quali possa essere recepito e, dall’altro lato, supportato.

 

L’INDAGINE FILOSOFICA CONTINUA

Al di là di quanto già emerso, si tratta di spingere sempre oltre i riferimenti in un processo, dunque, continuo, fino a trovare un primo principio o, fatto che non risulta diverso, pervenire a ritenere la stessa impossibilità di coglierlo. Proprio allora che pervenuti a quello, alcuni si arrogano il diritto di spiegare tutto, sfociando in illazioni che spesso hanno portato molti utenti marginali della filosofia a far ritenere che questa sia “quella cosa con la quale o senza la quale il mondo rimane tale e quale”.

Sovente infatti con un principio trovato molti filosofi tendono a piegare l’intero universo che ci circonda, producendo forzature.               

Il valore dell’indagine filosofica è rappresentato dalla validità degli elementi ritrovati rispetto a quelli che, in caso contrario, sarebbero o ignorati o ritenuti con le incongruenze non scoperte. Si tratta, tuttavia, di non bloccarsi ai risultati ai quali quasi sempre con molta fatica si è pervenuti ma avere il coraggio di mantenere quell’apertura sulla quale possono inserirsi le ricerche di altri. Proprio la chiusura su un tutto definito intorno a ciò che è stato trovato richiama quello sforzo a sfondare una tale fortezza per poi procedere oltre. Appare evidente che meglio sarebbe lasciare la porta aperta a quegli alleati che possano concorrere alla ricerca di quanto giungerà a dispiegarsi come più vero così come da Socrate colto.

 

Torniamo comunque al discorso che stavamo portando avanti. Quando ci arrabbiamo non solo rispondiamo a quanto arriva a dispiegarsi per un istinto o status di quello che si dispiega quale un esistente ma talvolta siamo convinti di aver ragione e che l’amica stia sbagliando rifacendosi ad elementi non, tuttavia, a propria volta fondati al punto da reggere così come da essa ragione universale richiesto.

Non appena riflettiamo non possiamo non fare leva che o su ciò che giungiamo a rilevare che quella si è posta con un comportamento diverso da chi sta indagando e da quello della comunità civile. Ad una indagine che si spinge ancora in avanti può emergere che la stessa società assunta a riferimento non si presenta in modo granitico ma con differenziazioni dalle quali ad emergere, spesso, è anche un qualcosa di antitetico. Si tratta allora di risalire a quanto possa supportare l’insieme o negarlo facendo leva, questa volta, su essa ragione universale ancorché correlata a fattori storici portanti una società. Liberare dalle stesse pastoie correnti è stato un traguardo posto in essere da tantissimi filosofi: emblematici al riguardo Senofane ed Epicuro, i quali additavano ad una liberazione da false ritenzioni riguardanti gli dei.

 

Si tratta di ricavare, altresì, validità dai vari paragoni interessanti diverse comunità nonché le differenti manifestazioni all’interno di uno stesso il gruppo sociale. Ciò seguendo una ragione che arriva a dispiegare di volta in volta una propria dimensione al di là degli stessi parametri di riferimento fino a considerare se essi comportamenti possano reggere, almeno finché non siano trovati altri maggiormente funzionali.

Se ogni comunità, dunque, presenta un suo modo di pensare ovverosia dispiega una sua cultura da cui una validità deriva, quando non semplicemente una univocità che porta a chiusure e imposizioni, bisogna sforzarsi di andare oltre fino ad incontrare gli altri in una intersoggettività.

Articolo redatto da D’Angelis Flaminia da una lezione del prof. Addona. Per approfondimenti della tematica si rinvia al lavoro Giuseppe Addona “Percorsi di filosofia” vol. I.

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