sabato 5 novembre 2016

A proposito delle trasformazioni delle parole e della cultura critica

Troviamo una parola su un libro:

Stuttgard

Ci viene in mente, a tal proposito, Stoccarda.

O ancora Lussemburgo, Asburgo, Amburgo così come suonano in italiano.

Cerchiamo di addentrarci in un’analisi, come si procede in ogni disciplina scientifica, a cominciare dalla matematica. Individuiamo le lettere procedendo in una comparazione. Potremmo segnare quelle uguali e diversamente quelle diverse.

S t u t t g a r d

S t o c c r d a

Allora che sappiamo che i tedeschi accoppiano due parole per formarne una, ci viene da osservare che Stutt potrebbe essere separato da Gard. Ove riscontrassimo altre parole presentanti una di queste parti si potrebbe tentare di pervenire al significato di una di queste facendo leva sul contesto. Da questo ad emergere magari è che si tratti di città o altro.

Noi sappiamo altresì che persone, soprattutto non addentro agli studi, trovano difficoltà nel fermarsi per riprendere poi la pronuncia di una parola. Quello che in altri termini arriva a essere ritenuto iato appare superato inserendo lettere che permettano una espressione unica e per tanto più facile. A questo punto legano le due parole. Abbiamo recepito criticamente quello che sappiamo dal ginnasio, ossia trattarsi di assimilazione e di contrazione.

La T, che in questo caso si presenta ripetuta, cade e la consonante successiva si raddoppia rafforzandosi. Sappiamo altresì che la G è sostituita dalla C con un suono forte come avviene, per il resto nei linguaggi A e B del codice dantesco che affronteremo in seguito. Viene fuori quindi che la G diventata C si raddoppia. Sappiamo anche che la T è intercambiabile con la D sempre secondo i codici già individuati e per quanto riusciamo a rilevare direttamente allora che consideriamo parole pronunciate in una regione e in un’altra. Noi sappiamo altresì che il latino arcaico si esprime una “o” diventata in seguito “u”, fatto questo che arriva a valere per gli idiomi longobardi che si sono conservati sia nella regine lombarda che in quella piccola da Benevento rappresentata. Noi sappiamo che due sono i codici della commedia di Dante dai quali derivano tutte le varie edizioni e risalgono al Cinquecento.

Uno puntualmente riporta la U (u i dissi u ben s’impingua)

L’altro la O (o i dissi o ben s’impingua)

 

Quello del Sud è detto codice A, quello del Nord è detto codice B.

Riconsideriamo ancora Stoccard. Siccome le parole italiane prevedono la vocale finale, la si aggiunge appunto, ed essendo femminile, quella che un tale genere designa è la “a”. Viene quindi Stoccarda.

Passiamo ora all’analisi degli altri due nomi:

Lussemburgo

Asburgo

Amburgo

La parola comune è “burgo”. Applicando le ipotesi di cui sopra potremmo ricavarne “borgo” e infine castello o città o comunque luogo abitato da un gruppo. La “m” potrebbe avere preso il posto della “n” davanti alla “b”. Tenuto conto che delle altre variazioni a cominciare dalla “f” o dalla “v” a propria volta corrispettiva di una “u”; ua in ciociaro e non solo e non uva, potremmo pensare ad una città di volta in colta di Lussen, di As o Aus, o di An-Am.

A questo punto ci sembra opportuno riflettere sullo studio delle lingue nelle scuole, a cominciare da quelle classiche. A cosa serve infatti imparare tante eccezioni o nozioni che spesso sconfinano nella tecnica? Forse allo studioso? Ma lo studioso non si forma all’Università e ancora in seguito? Al giovane studente, che affronterà il percorso universitario, non servirà se non la “logica” con la quale ha individuato quelle stesse, anche se non tutte, e affronterà le varie discipline e le specializzazioni?

Per ulteriori approfondimenti allargati anche ad altri ambiti disciplinari si rinvia a Giuseppe Addona “Una Scuola per una Cultura Possibile” Bonanno editore.

Articolo scritto dalla I C da una lezione del prof. Addona

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