sabato 5 novembre 2016

DALL’ESPERIENZA ALLA SCIENZA

“Come si fa a fare scienza senza conoscerne il metodo?”

Le esperienze sono rappresentate da quella conoscenza che si è formata su un insieme di elementi a partire dalle sensazioni. Essa benché non possa essere considerata quale una semplice somma pure non si allontana da una configurazione su una sintesi incentrata. Se la serie di esse osservazioni non può risultare completa ovvero non raggiungere quella universalità da cui una necessità di quanto pure predicato va incontro a quello che possiamo ritenere un altro problema, rappresentato specificamente dal non potersi procedere al di là di esso insieme così come venuto a costituirsi.

Possiamo osservare innumerevoli volte un oggetto cadere o più oggetti senza andare al di là di una conoscenza rappresentata dal fatto che un corpo lasciato senza appoggi cade. Al di là del fatto che potremmo trovarci di fronte ad un corpo, quale un palloncino gonfiato con gas più leggero dell’aria, che lasciato, anziché cadere, è visto volare via ovvero muoversi all’opposto delle precedenti osservazioni, senza pervenire ad una “legge” di caduta dei corpi. Di esse esperienza appare altresì potere essere trasmessa soprattutto una sintesi, ancorché ci si possa affidare a quanto, raccontato riesca in un certo modo ad essere recepito nonché magari piuttosto rielaborato.

Su un tale discorso arriva ad inserirsi quella che Aristotele chiamava arte benché non sempre distinguendola da quella che pure riteneva scienza. Al di là di tanto noi consideriamo arte la capacità di mettere insieme mattoni o pezzi di legno in modo tale da ottenere un prodotto qualificato: una casa in un caso e un mobile pregiato nell’altro. L’artigiano si è servito della sua arte nel mettere insieme gli elementi fino ad intervenire per ottenere l’effetto in caso di “riluttanza” da parte di fattori magari intervenuti. Egli tuttavia potrà dare indicazioni al discepolo perché obiettivi siano raggiunti ma non potrà spiegare tutti i vari passaggi poiché non chiari risultano gli elementi stessi sui quali interviene. Un carrozziere potrebbe raccomandare così di percuotere una lamiera perché possa raggiungere, anche se non interamente, la posizione originaria. A non risultare trasmissibili sono i termini non individuati e soprattutto le cause. Individuazione che può essere data, ancorché non in modo assoluto, dalla misurazione in un sistema intersoggettivo.

Se dal particolare, altresì, non emerge il generale ossia l’universale, pure da una teoria deve risultare il recupero di fatti specifici così che a discenderne possa essere una concretezza. Non appare, dunque, possano viaggiare isolate teoria e pratica. Quell’ingegnere che non sapesse risolvere un problema pratico che pure dovrebbe essere contemplato in quella conoscenza teorica, non sarebbe, a tutti gli effetti, un ingegnere.

Se in geometria, non prendiamo in considerazione una sfera o un rettangolo particolari, ma quello pensato in certi termini pure non possiamo non collegare i risultati ai quali siamo pervenuti ai casi concreti che si dispiegano e una risoluzione chiedono.

Al di là delle esperienze, dunque, che arrivano a formarsi anche altri animale e sulle quali fare leva per mantenersi in vita, vediamo cosa connota il passaggio ad una scienza.

Gli elementi cessano di rappresentare un qualcosa empiricamente rilevato per essere “tradotti” con una misurazione. Quello che prima era indicato quale un oggetto diventa un termine misurato. Similmente accade per i vari elementi rappresentativi di una esperienza a cominciare da una distanza percorsa e da un tempo nel quale un fenomeno è rilevato.

Si tratta, dunque, di eliminare per quanto possibile le variabili facendole diventare termini noti rintracciabili per la misura.

Non un corpo dunque che è visto cadere ma quel corpo di quel peso, con quel volume in un certo tempo per una certa altezza. Per facilitare i calcoli un tale corpo si costruisce con caratteristiche tali da risponde il più facilmente possibile ai calcoli.

Non prendere un corpo con una forma presentante molte variabili poiché queste intervenendo ci costringerebbero a calcoli ai limiti delle possibilità fornite dai termini conoscitivi in atto. Una stessa matita potrebbe, cadendo, posizionandosi diversamente, impiegare un tempo maggiore o minore come vediamo accadere ad una freccia scagliata da un arco da una posizione o da un’altra. Per cominciare a ridurre le variabili adotteremo per l’esperimento una sfera la cui caduta risulta indifferente, risultando la forma solo quella. Anche il peso di questa risulterà poiché appunto misurato ovvero essa sfera sarà stata pesata. Risulterà costruita perché pesi 100 grammi.

Lo stesso discorso vale per l’altezza. Tenuto conto che l’esperimento lo provochiamo assumeremo un’altezza corrispettiva di numero pari.

Procediamo, dunque, a lasciare la sfera magari di un dm3 dall’altezza di un metro e misuriamo il tempo di caduta che diventa, a questo punto, noto. Ripetendo l’esperimento da un’altezza doppia ci aspettiamo che il tempo raddoppi. Dalla misurazione tanto non risulta. Ritenendo di avere sbagliato, riproviamo. Anche se il tempo risulta diverso ance se magari di poco da quello in precedenza rilevato non risulta comunque doppio così come ci aspettavamo.

Che cosa sarà successo?

Proviamo a farlo cadere questa volta da un’altezza di tre metri. Ancora a darsi è quella che al momento possiamo ritenere una sfasatura. Proviamo ancora a farlo cadere da un’altezza quadrupla. Il “problema” si ripresenta. Cambiamo a questo punto il peso della sfera e riproviamo per quelle stesse altezze precedenti. Quanto prima constatato si ripresenta. Cambiamo il volume sostituendo una sfera di 2 dm3 e poi ancora con una di 3 dm3. A restare è quella “diversità”. Proviamo a fare emergere i rapporti e se saremo fortunati troveremo un numero per il quale risultano spiegate essere variazioni. Abbiamo trovato la “legge di caduta dei corpi” almeno in un certo ambito e fino ad ulteriore prova contraria. In altri casi non valgono nemmeno interamente quelle formule che presentano una complessità tale nel tentativo di fare emergere quanto si dispiega in una “misurazione” ricorsa in siffatti termini.

Proviamo con un esempio più semplice. In assenza di misurazioni, i nostri antenati che dovevano comunicare come ottenere una pagnotta non potevano che fare leva su espressioni quali, prendi la farina, aggiungi un po’ di sale, impasta con acqua, aggiungi un po’ di lievito, magari indicato con una manciata, fai stare per una notte, a non essere considerata era la stessa lunghezza di questa, poi inforna e aspetta che sia cotta. Appare evidente che il prodotto risultava alquanto diverso in base ai parametri che risultano quantomeno ridotti allora che ridotte siano le variabili. Tanti chili di farina, con tanto sale (pesato similmente) con tanta acqua e tanti grammi di lievito da lasciare in un ambiente ad una certa temperatura per quel tempo (specificato) e quindi mettere al forno, ad quella temperatura similmente indicata e lasciare per tanto tempo. Ove a non intervenire fossero termini ulteriori e non noti a derivare dovrebbe essere un prodotto piuttosto omogeneo.

Essa scienza, dunque, può essere spiegata perché individuati risultano i termini del processo sul quale si applica.

 Articolo scritto da D’Angelis Flaminia, I C da una lezione del prof. Addona

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