lunedì 11 gennaio 2021

La gelosia

Una gelosia appare richiamare quell’appropriazione ovvero quel possesso di un qualcosa che, più che non volersi perdere, è ritenuto da non condividere con alcuno. Non si tratta di recuperare un oggetto quanto piuttosto di non voler accettare che essa “cosa” possa uscire da quell’ambito poiché reputata esclusivamente propria. Non si è disposti, in definitiva, ad accettare che esso qualcosa, diventato più che un possesso, torni allo stato primordiale ovvero al punto da non risultare nell’orbita costituita per la quale arriva a realizzarsi colui che pervenga a considerare anche un proprio essere per tanto. Sembrerebbe evidente altresì che esso oggetto si trovi a fare da completamento quando non da realtà effettiva a colui che constata di non essere in assenza di quello. Questo arriva a costituire comunque quello che potremmo ritenere un effetto ancorché potentemente spesso posto in essere da chi, appunto, non sia pervenuto ad una visione generale per la quale essere.

Proprio il rapporto tra esse due situazioni contemplate ovvero quella nella quale è presente l’altro e quella di chi, nella particolarità posta in essere, si ritiene di non condividere quello ritenuto appartenergli come appunto un bene esclusivo, porta a fare in modo che, allora, infatti, che a disporsi sia quella chiusa, l’altra non intervenga. I posizionamenti tuttavia, da parte di esistenti incentrati su tanto possono risultare vari e tanto in base agli elementi che arrivano a determinare un individuo a cominciare da un intelletto e, soprattutto, da una cultura acquisita. Per tali elementi infatti arrivano a essere approntate sia difese che atteggiamenti atti a non urtare con quanto da una società in genere accettato. Il problema, in questo caso, non appare risolto ma solo aggirato integrando i termini fino al punto da risultare smussati ed infine posti in essere in modo tale da non cozzare contro la suscettibilità generale. Un ulteriore fattore è rappresentato da comportamenti e da considerazioni, dunque, per i quali si possa ritenere o meno di perdere esso oggetto. Se qualcuno ad esempio reputasse che una relazione fosse incentrata su qualità particolari, quali magari un bello, allora che a configurarsi di fronte fossero elementi ritenuti non al livello proprio potrebbe non innescarsi essa preoccupazione. A restare per continuare a minare il rapporto potrebbero ancora essere elementi particolari e comunque tali da inserirsi sulla restante parte. Una persona, così legata ad un ricco potrebbe ben non intraprendere una relazione con un’altra e però sottrarre da un tale rapporto mancato quanto ancora e diversamente possa appagare. Non appena, tuttavia, quella disposizione aperta arrivi a far sentire la propria voce e prepotentemente a dispiegarsi è vista quella tensione continua volta a perseguire costantemente l’allontanamento di ogni elemento che possa richiamare essa violazione, appunto, temuta. Alquanti, infatti, appaiono presentarsi con una certa apertura solo perché stimano non essere investiti da quella problematica portata dalla sottrazione di esso oggetto. La tutela, altresì, da parte dello stato venuto a costituirsi talvolta non sembra bastare a coprire quanto reputato da conservare da parte di quelli che, oramai, non arrivano a posizionarsi in una consapevolezza dei termini effettivi. Costoro sono portati a vedere coloro che possano inserirsi quali nemici dai quali difendersi approntando quindi le “valutate” fortificazioni.

Diverso, tuttavia, il discorso che arriva ad interessare coloro che risultassero più o meno coscienti della relazione posta in essere. Su termini stabiliti si troverebbero a disporsi ritenendo che un tale rapporto, poiché concordato, sia da portare avanti. Se l’altra di fronte è considerata una persona affidabile, capace, quindi, di mantenere l’impegno, essa gelosia sembrerebbe dispiegarsi solo in potenza ovvero in considerazione del fatto che l’apparato sul quale si è convenuti non possa saltare essendo ritenuto quello supportare esso impegno. Tanto arriverebbe a costituire una sicurezza per colui che comunque si dispone ancora come individuo e tale da beneficiare della configurazione di fronte. Costui sarebbe ancora pronto ad esplicitare le proprie richieste al variare del termine di esso rapporto, fatto questo che risulta facilmente constatabile per le valutazioni che ad ogni occorrenza assumono la configurazione di quell’apostrofare prodotto dopo che una relazione si sia interrotta e che sono viste subentrare ad espressioni diametralmente opposte. Sembra che tutti i pregi in precedenza sciorinati si siano commutati in difetti che girano intorno in un modo più vorticoso e pesante di quelle statue di cui già parlava Socrate.

Vi è bisogno, dunque, che l’individuo arrivi a dispiegarsi quale soggetto ovvero che pervenga al punto tale da superare oltre che accettare eventi che dovessero presentarsi ed attenere quindi sia e soprattutto al soggetto di fronte, fatto questo che, con l’universalità che porta con sé, dovrebbe portare a quell’incontro al di là delle particolarità che anche in caso la “controparte” si rivelasse fuori da un tale discorso. Sarebbe, infatti, esso, nella generalità da cui osserva a comprenderle l’altro. Ove tanto non accada il discorso non può che tornare sull’individuo incentrato su particolarità dispiegantesi di fronte ad altre e variamente componentesi per i fattori più vari e al di là stesso di quanto da una società portato e da norme prescritto. Ciascuno vedrebbe ricadere su di sé quanto pure è visto interessare l’altro. In un tale contesto a supportare non sarebbe una ragione ma un intelletto richiamato per ottenere effetti rispondenti a spinte egoistiche o comunque tali da non potere accampare pretese maggiori di altre che ad ogni occorrenza pure puntualmente condannate.

Tanto è constatato accadere prima ancora che a risultare interessata sia una libertà la quale, altresì, intervenendo, senza possibilità di essere compresa, né, al contrario essere sostenuta, al punto da potersi scientificamente dispiegare, non risultando, dunque, in un modo quale che sia ancorata potrebbe stravolgere o annullare lo stesso intero e precario sistema posto in essere. Proprio questa arriva a essere posta all’angolo e, infine, ricacciata o, al contrario, richiamata perché supporti quanto altrettanto individualmente ritenuto legittimo perché posto  in essere ed incentrato su costrutti di parte e tali da presentarsi quale un sistema compiuto o da aprirsi per includere quanto occorra per continuare sgombrando al contempo la strada da quanto ritenuto ostacolare impedendo quella libertà reputata attenere nel modo più sacrosanto possibile quanto ritenuto fare da riferimento e unico da colui che si è legittimato quale esistente e che sta portando avanti il discorso che ha organizzato.

Appare evidente che si tratta di coniugare non i vari termini in modo empirico ma essa libertà determinante il soggetto per una universalità a essa corrispettiva con un impegno assunto che non può risultare altrettanto universale nel momento stesso che risultasse ancorato a fattori particolari quali elementi che venendo meno porterebbero all’annullamento di quello che su essi era stato costruito. A risultare interessata è, dunque, quella apertura caratterizzante esso soggetto nelle stesse relazioni che perviene ad assumere.

Va da sé, quindi, che iniziative o comportamenti che non considerassero l’altro nella sua universalità si troverebbero a fare leva solo su quanto attiene ad un individuo che magari pure ha recepito l’altro per una assunzione magari e però non totale ovverosia in una generalità e soprattutto di comodo poiché incentrata appunto sul proprio sé e su quanto, così come portatore di questo, venuto a dispiegarsi. Ad interagire, fino, all’occorrenza a sostituirsi, sarebbero configurazioni più o meno ampie e ancoraggi su richieste strette ovverosia particolari ed esclusive. Da tanto ad emergere in molti casi sono vite e relazioni.

Allora che una settorialità prenda il posto di quella generalità, solo per la quale il soggetto con l’universalità, la libertà e quanto da una ragione oltre che da una sensibilità portato, a derivare non possono che essere effetti, i quali, così come particolari e dunque limitanti, si dispiegano innanzi ad altri particolari e soprattutto non riconoscendo quanto può rientrare al punto da permettere un incontro. A dispiegarsi, infatti e variamente, al di là di tanto, è ciò attiene a quanto incentrato su un ego o ancora su istinti ed avvertire sparsi nonché più o meno compositi.

Appare evidente che se l’intero discorso si gioca sui sentire propri di ciascuno e non ancora quantomeno sugli affetti, per i quali il riferimento arriva a essere costituito dagli altri, a dispiegarsi sono solo richieste che reclamano di essere esaudite e che non possono, come tali dare spazio a quanto, di fronte, pure chiede di essere ascoltato e spesso risulta addotto come un fatto portante all’incontro e però posto in essere così come particolare. Il discorso si complica fino ad indirizzare ad una risoluzione più marcata allora che quella stessa persona che si era espressa in un rapporto, questo stesso chiude senza ritenere di dovere comunicare alcunché: il sistema ritenuto da valere è quello proprio che con argomentazioni si tenta di legittimare quando non semplicemente ed assolutamente lo si valuti l’unico ed ineccepibile.

Tanto accade allora che si lascia intero spazio a quanto di volta in volta avvertito. Al fine di non soccombere alle particolarità che queste portano propriamente con loro si tratta di impostare le relazioni ad un livello diverso, ovvero generale. Quegli stessi sentire, dunque, non possono non risultare inseriti in una sensibilità e recepiti da quella ragione, entrambe universali per le quali quello di fronte è considerato un soggetto nel quale arriva a trovare spazio, fino a coesistere quanto non può inficiarla.

Solo una volta, dunque, considerati, per essa ragione e per essa sensibilità, gli altri appare possibile porre in essere un qualcosa di specifico che arriva a connotare un esistente quale essere che non urta, appunto, con quanto perviene a configurare un soggetto. Anche nel caso, dunque, più forte e dall’innamoramento rappresentato non può risultare cancellata quella visione generale a sensibilità e ragione rispondente. Una tale tematica è stata affrontata specificamente in Giuseppe Addona, Sensibilità e ragione, Bonanno editore.

Una legittimazione, in ogni caso, non può che derivare dalle possibilità di mantenimento di quanto pure incentrato su esso individuo quale esistente con le esplicazioni che lo caratterizzano. Solo in una tale posizione appaiono trovare spazio quelle stesse effusioni con quel piacere che arrivano a portare con loro e però nella consapevolezza di non essere scisse da una generalità. Queste non possono, comunque, essere viste quali estranee da chicchessia che si trovi a considerare quelli di fronte soggetti e a esso stesso rispondenti come tali. In caso contrario si inserirebbero essi stessi come particolari cessando di essere soggetti. Una volta posta in essere essa generalità appare facile distinguere quanto di particolare, per il resto, pure arriva a presentarsi consentendo, all’occorrenza, di sacrificare quello che è constatato particolare rispetto a quel soggetto dall’universalità portato. Diversa una tale dimensione dallo stesso discorso costituito da un sistema nel quale si convenisse. Se da questo possono essere desunti i termini pure esso, derivando da particolarità, non potrebbe, in ultimo, che a queste rispondere diversamente, dunque, da quella dimensione da una ragione e da una sensibilità costituita, le quali si esplicano come contenuto e forma insieme ovvero si dispiegano come universalità che si esprime come realtà. Essa universalità, formalmente avvertita, si esplica come pratica nella modalità, appunto, categorica, per quanto concerne la ragione così come già da Kant colta e, possiamo aggiungere, rappresentante un tutt’uno per essa sensibilità che recepisce quanto rileva specificamente come proprio. L’altro, per questa, infatti, non rappresenta un estraneo ma quanto a essa inerente.

Se il ritenere, infatti, in un apparato dispiegato, che specificità possano sussistere appare più facile poiché a risultare delineati sono i riferimenti, pure per il resto, proprio questi vanno ad interrompere essa universalità che si esprime come forma generale da una ragione posta in essere e quindi come sensibilità, le quali, aperte per la stessa disposizione, non trovano limiti esplicandosi puntualmente per la generalità a loro propria.

Quanto, in caso diverso, può risultare valido in un sottogruppo si trova a dipendere solo dal fatto che esso gruppo maggiore non ne risenta perché soprattutto lasciato a rapporti ritenuti personali tra cittadini e però tali da non inficiare il sistema in essere. Appare trattarsi, in ultimo, di sintesi e di compromessi inclusi in esso sistema e però non invalidanti questo stesso. Tanto però appare rappresentare un’isola che è vista infrangersi non appena ad intervenire siano elementi, appunto, dirompenti. Le relazioni, infatti, non possono essere confinate al sottogruppo né mantenersi su termini non portanti nel discorso più largo.

Se in un siffatto discorso si trovano a rientrare le stesse modalità per le quali quanto esplicato non urti con i soggetti diversa è tuttavia la validità che ne consegue e soprattutto interamente differente quel sostegno che, all’occorrenza rende veramente liberi quelli di fronte perché è lasciato loro quello spazio dall’universalità portato. Nell’altro caso a garantire è chiamato il sistema dal quale non sono escluse esse particolarità che a volte si sovrappongono ed altre reclamano una indipendenza posta in essere contro esso stesso intero sistema.

Da considerare è altresì propriamente il fatto che non appena qualcuno si ponga per difendere quello che reputa un bene acquisito e tuttavia sottraibile si dispone già per tanto a quella lotta che magari non arriva a dispiegarsi, al momento almeno, e per le motivazioni che a uno stato rinviano e che si presenta con una sua forza in vari termini espressa, ovvero a quella guerra da condursi con altre armi o solo trasferita affidandosi a quegli strumenti ritenuti tali da non impegnare esse leggi o evaderle.

Senza addentrarci in esempi dei quali sono piene le rappresentazioni teatrali e le letterature riguardanti personaggi grotteschi, poiché visti lottare costantemente contro possibili eventi senza potere trovare tranquillità e brancolando dunque in un buio e particolare e tanto distanti da quanto ritenuto effettivo dal resto della comunità, al punto da suscitare ilarità, appare che sia tanto che situazioni meno drammatiche ritenute da un senso comune o da una voce di popolo ma comunque effettive e che tanti segni lasciano in una società, ancorché non sia vista immediatamente lacerata, possano risultare allontanate solo in quella dimensione universale ed intersoggettiva nella quale procedere senza che altro riferimento possa prendere quel posto. Solo in essa universalità, dunque, non vi è da temere alcunché poiché, se essa dipende per gli effetti pratici da ciascun componente in essa società, per il resto, non può essere sottratta perché a dispiegarsi o sono soggetti universali che quella non inficiano ma sostengono per la propria parte o individui che, come tali, possono anche portare via con la forza o con altri mezzi qualcosa non però quell’universale annullare. Questo, come tale, non può essere sottratto anche se in questo caso una pratica non è vista corrispondere, così quale un fatto sensibile ed effettivo, che pure potrebbe e dovrebbe risultare associato a quella universalità. Ancora una volta, nel momento stesso che tanto si avveri, a dispiegarsi sarebbero esse particolarità approdate o meno sistemi ristretti o contraddittori.  Essa universalità se non può risultare distrutta poiché non dipende da tanto pure si presenta impossibilitata a relazionarsi intersoggettivamente con coloro che si pongono fuori e azioni contrarie producono. Essa formalità, per quanto si dispone fuori o si proietta contro, risulta impossibilitata, così come è costretta a constatare, a coniugarsi.


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