lunedì 3 maggio 2021

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E PENSIERO

 

Allora che per intelligenza si intenda la capacità a collegare appare evidente che un programma possa essere predisposto così che, dati alcuni parametri, a conseguirne possano essere termini, ovverosia relazioni richiamate perché rispondenti ad un tutto già approntato. Il discorso non muta allora che al posto di una base, che possiamo ritenere fissa, si inserisca la possibilità di elaborazione della stessa. Tanto a dire che un programma può procedere in quella che possiamo ritenere una ricomposizione di se stesso. Questo non può avvenire che ancora per parametri impostati. Diverso il discorso che riguarda esso pensiero il quale appare esprimersi oltre tutto ciò.

Cosa rappresenta dunque un tale pensiero? Potremmo rispondere: la possibilità di spingersi, quale attività, oltre tutto quello che è stato programmato. Se anche tanto appare, in ultimo, interessare una intelligenza artificiale, pure, esso pensiero arriva a distinguersi per il fatto che essa attività che esprime risulta ancorata ad un soggetto che si dispiega ponendosi rispetto agli altri come pratica da un universale discendente. Anche un tale discorso, tuttavia, potrebbe essere impostato e però da esso pensiero, il quale, in questo caso, verrebbe a connotarsi specificamente quale ragione. Questa, infatti, si trova a fondare e ad esprimere se stessa in quella generalità da cui la restante parte non può che dipendere.

Esso si presenta come quel qualcosa che, non definito se non da se stesso, giunge a configurarsi come principio che riesce a riconfigurarsi e, nello stesso tempo, a riconoscersi nei suoi stessi mutamenti, ovvero sviluppi, risultando di tanto consapevole, così come elemento anche in una corresponsione con un essere che perviene in siffatti termini a pensare. È il pensiero a disporre se stesso e a produrre, quindi, tutti gli eventuali programmi che da esso prendono inizio sia a livello teoretico che, soprattutto, pratico. Anche allora dunque che un programma fosse tarato per rifondare se stesso si troverebbe a rispondere a quell’impostazione di base da esso pensiero costituita e posta in essere. Da una programmazione, anche aperta, a non emergere sarebbe quel qualcosa che, non definito da alcunché se non da se stesso ancorché in risposta a termini che arrivino a dispiegarsi, non condurrebbe a ciò da cui comunque si trova a dipendere. Si tratta di essa attività rappresentativa, appunto, si esso soggetto che non è fissato da altro, diversamente da quanto accade ad un programma complesso e proiettato per reimpostarsi quanto si voglia.

Questo potrebbe riconoscere sia se stesso che uno sviluppo non ancorato su termini che possiamo ritenere primitivi potendo procedere su ciò che, via via, venisse a dispiegarsi e però anche tanto non potrebbe che rispondere all’impostazione per la quale è stato avviato per percorrere una tale strada. Il suo stesso riconoscimento non può esulare dai termini dai quali si è mosso. In caso contrario a irrompere, fino a fa far scoppiare l’intero sistema, sarebbero sdoppiamenti che non consentirebbero più un riconoscimento. Esso, in ultimo, sfuggirebbe a se stesso.

Il pensiero, che non procede, dunque, né solo su variabili né su costanti ma su quanto riesce ad esprimere in una libertà, risulta consapevole di se stesso e dell’approdo cui, di volta in volta, perviene, senza cessare, quindi, in quella sua identità ancorché dinamica per quanto arriva a dispiegare nella sua stessa evoluzione. Essa attività si riconosce nello stato in cui è approdata costituendo e comunicando esso soggetto. Tanto sia a livello teoretico, per ciò che arriva ad esprimere al punto da risultare non solo riconoscibile ma tale da fare da riferimento ai termini che va a collegare e, quindi, ad attribuire, e sia e soprattutto quale elemento di quella umanità universale, portante non solo un sistema ma quell’essere per il quale esso pensiero, come ragione, si riconosce e reputa di essere conosciuto. Quella, che non risulta confinata, pure si esprime come libertà che scientificamente giunge ad essere colta. Per un approfondimento della tematica si rinvia al mio lavoro La determinazione sociale dell’individuo eDimedia, liberamente consultabile sul sito giuseppeaddona.tripod.com

Ove un programma riuscisse ad esprimere tanto arriverebbe a pensare una libertà non però a fondarla e a farla rivivere dandole quell’essere incentrato su un soggetto tra soggetti. Essa libertà, dunque, così come principio, non può che derivare da quel soggetto che arriva ad avviare anche un tale programma.

A tanto si aggiunge quel sentire generale, il quale, benché possa magari, a propria volta, risultare programmato, prende il suo essere da quella sensibilità che connota l’uomo che avverte l’universalità fino a porre in essere unitamente alla ragione quel soggetto. È questo che dà l’avvio a quel processo che può anche essere predisposto ad avanzare su una via autonoma e che però è stata prevista da quel soggetto che ha affidato a essa “intelligenza artificiale” un tale compito che può proiettarsi fino a tracciare nuove strade e però controllabili da colui che lo ha avviato. In caso diverso potrebbe, un tale sistema, trovare elementi e però tali da rappresentare non quel soggetto che si pone in essere per quella generalità nella quale ritrovare gli altri. Fuori da tanto e oltre tanto a presentarsi possono essere termini rispondenti, però, ad un individuo quando non ad altro ancora.

Essa intelligenza artificiale, ove in contrapposizione, porterebbe alla scomparsa di quell’essere uomo dal quale è stata costruita per rispondere ad esigenze alle quali non può che sottostare quell’universalità per la quale si può parlare di umanità ovvero di soggetto in rapporto per essa ragione e per essa sensibilità.  

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