mercoledì 9 dicembre 2020

Il bruto esiste ancora oggi? Come attualizzare la morale di Kant.

Analizzando il seguente passo di Kant, riguardante la legge morale, all'interno della Critica della ragione pura pratica: “La prima veduta, [il cielo stellato] di un insieme innumerabile di mondi, annienta, per così dire, la mia importanza di “creatura animale”, che dovrà restituire la materia di cui è fatta al pianeta (un semplice punto nell'universo), dopo essere stata dotata per breve tempo (non si sa come) di forza vitale. La seconda, [la legge morale] al contrario, innalza infinitamente il mio valore, come valore di una “intelligenza”, in grazia della mia personalità, in cui la legge morale mi rivela una vita indipendente dall'animalità, e perfino dall'intero mondo sensibile: almeno per quel che si può desumere dalla destinazione finale della mia esistenza in virtù di questa legge; la quale destinazione non è limitata alle condizioni e ai confini di questa vita, ma va all'infinito.”, potremmo pervenire ad una definizione di “nobile”, ricavabile, per converso, altresì, da quella di “bruto”, “canaglia”, termini questi che vanno ben oltre quelli di uomo rozzo, limitato nei modi, che non ha il senso dell'altro, magari individualista, che tende ad essere violento ed aggressivo e, relazionandosi con una persona, non ne percepisce l’essere più peculiare costituito propriamente dal rappresentare una identità universale e di fronte. 

Il “nobile”, dunque, da intendersi come un soggetto non limitato in alcun modo, il quale, per usare ancora le parole di Kant, si eleva INFINITAMENTE, che si distingue dagli animali per la ragione (che un non filosofo potrebbe definire in modo ancora non adeguato come intelligenza) e riesce non solo a contenere ma a far soggiacere i propri istinti, sacrificando quindi quelle che arrivano a concretizzarsi come richieste che potrebbero portare ad un proprio e particolare utile. Il bruto, ovverosia l’individualista, invece non riesce ad elevarsi ad un piano più generale nel quale l’altro possa essere ritrovato ed agisce mosso unicamente da passioni ed impulsi soprattutto primordiali, i quali possono spingere anche alla violenza più marcata. Da considerare non estranei a tanto quegli stessi che non si proiettano contro per ottenere e però solo per un timore o anche per motivazioni subentrate fino a costituire una psiche che alla prima occorrenza può dispiegarsi diversamente per fattori intervenuti. Non diverso, dunque, il discorso che si configura allora che a fare il suo ingresso sia una paura, la quale giunge sia a trattenere da azioni che possano mettere a rischio la vita di un tale esistente che a prendere il posto di quella generalità che contraddistingue il soggetto che si dispiega rispetto ai particolarismi utilitaristici. Un siffatto comportamento difensivo si configura, infatti, sulla stessa linea benché arrivi a svolgersi in una direzione che possiamo ritenere opposta a quella additata dalla volontà che insegue interessi in positivo. Allora, comunque, che essa preoccupazione invada l’esistente costui tende a conservarsi sacrificando ogni cosa che venga a prospettarsi di fronte. L’azione eroica invece, che possiamo ritenere quale corrispettiva di una “nobiltà”, sacrifica appunto quanto l’altra pone in essere a tutela ovverosia a conservazione di esso esistente. 

Il non posizionarsi, quindi, esclusivamente da uomo-animale proietta il soggetto verso quel comportamento che può essere detto sia eroico che nobile. Chi si sente investito da una tale spinta universale, per usare ancora la scoperta kantiana, si sforza di superare quella paura per la quale si abbasserebbe da soggetto ad esistente particolare. Sia in pace dunque che allora che, purtroppo, si trovavano in guerra o in altre situazioni pericolose coloro che avvertivano quell’imperativo categorico kantiano, non arrivavano ad anteporre la paura a ciò che ritenevano da doversi esprimere in quanto valido universalmente. Si trattava di muoversi quali soggetti o di annullarsi propriamente in quanto tali.

Con quanto espresso in questo passo, dunque, Kant arriva ad individuare scientificamente il percorso possibile ad un soggetto che per secoli era stato, ancorché potentemente posto in essere da alquanti, non individuato scientificamente ma ritenuto attenere ad una nobiltà. L’importanza di essa critica emerge, non fosse che solo per il discorso da noi affrontato, dal fatto che è risultato dimostrato scientificamente ovvero in un sistema ancorato su una effettività da una universalità costituita quanto pure da tanti espresso ancorché attribuendo tali azioni ad una eroicità denotativa di una nobiltà di animo quando non rispondente ad uno status dato dalla discendenza per la quale gli appartenenti ad alcune famiglie erano ritenuti “diversi” da quelli che si comportavano solo in funzione della propria esistenza, meritandosi, sicuramente esageratamente, l’appellativo di “canaglia”. Quei cani infatti che, abbandonati, arrivano a formare un gruppo, si tuffano sulla preda sapendo che da tanto dipende la loro sopravvivenza non disponendo di altro e avendo digiunato per giorni.

 Da quanto emerso appare possibile constatare l’importanza di uno studio sulla morale e di quanto a questa attinente così come prassi. La riconduzione di una tale prassi arriva a recuperare quanto alcuni sono andati, via via, ad appropriarsi fino a posizionarsi quali elementi derivanti da tali fatti spesso enucleati da una stessa storicità e, comunque, additati da tutti coloro che si sono trovati a respirare una tale cultura. Si tratta, dunque, di individuare i termini portanti di esse azioni quali che siano, le quali, in caso diverso, possono dipendere più o meno semplicemente da istinti o conformazioni ovvero da una mentalità anche meccanicamente venuta a costituirsi con quanto di non valido un operato non valutato può portare con sé.

Muoviamo da un esempio: Nel caso in cui una persona si trovasse in pericolo, il “bruto” preso in considerazione non si accingerebbe a salvarla dando la precedenza alla propria vita o anche solo alle proprie comodità. Diverso il discorso che riguarda colui che avverte la spinta che caratterizza il dovere e che si proietta in quell’universalità. Per questa, prima ancora di ogni considerazione di ordine teoretico, quale potrebbe risultare il sacrificio di sé pur di salvare la propria famiglia o più specificamente i figli così che per la vita di questi, nella quale reputi in parte almeno di continuare, sacrifichi la propria, un tale soggetto supera esso esistente, limitato e “minimale” ovvero si presenta al di là di questo come soggetto che si riconosce in essa universalità di fronte alla quale, a cessare è essa particolarità dall’esistente rappresentata. Proprio tanto arriva a prendere corpo rispetto allo stesso sistema per il quale un antico nobile anteponeva la dignità a quel proprio sé da intendersi anche non limitato al solo empirico corrispettivo di una esistenza.

La morale, al di là, dunque, delle concretizzazioni storicamente assunte passa anche o soprattutto attraverso il sacrificio di quanto potrebbe risultare giovevole al singolo. Essa dipende dalla tensione ovverosia dallo scarto che viene a crearsi tra i propri vantaggi ai quali risulta anteposto, se non ancora l’universale, il sistema. Diversa la validità di un dono di dieci euro ad un povero da parte di un ricco o di qualcuno per il quale una tale cifra non risultasse ininfluente. A quello non deriverebbe quasi effetto alcuno diversamente che all’altro il quale dovrebbe privarsi di qualcosa. Proprio perché l’altro aliena una somma che non incide minimamente sulle sue esigenze il suo gesto, benché da apprezzare, non può essere considerato a rigore “morale”.

Possiamo, infine, ritenere di avere trovato due distinti operati: quello rispondente all’animale (biologico), ossia a un vivere in risposta ai propri stimoli o comunque, nel caso così come contemplato da Kant, un granello da “restituire nuovamente al pianeta la materia con la quale è stato formato” e l’altro quasi opposto portato dalla morale, per il quale si manifesta quell’universalità che convoglia l’uomo fino ad inserirsi nell’intero universo, non potendosi quand’anche lo volesse, considerarsi inferiore.

Cerchiamo ora di attualizzare: possiamo ritrovare ancora oggi le figure del bruto e del nobile? Affidiamo una tale riflessione ai giovani che abbiano potuto osservare fatti al riguardo sia relativamente a comportamenti di coetanei che di adulti.

Anche questo processo può essere definito cultura, al di là dello stesso recupero della realtà individuata oltre la trasfigurazione classica.

 

lezione del prof. Addona riportata da chiara De Mizio, Ic

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