lunedì 3 maggio 2021

È POSSIBILE DISTINGUERE L’INTELLETTO IN ATTIVO E PASSIVO?

 Per spiegare il passaggio da potenza ad atto ma, soprattutto e specificamente, per individuare l’intuizione nel suo esprimersi, Aristotele ricorre all’intervento di un intelletto attivo, che dovrebbe rappresentare la capacità di cogliere quanto in essere per una intuizione. Esso intelletto umano, sembrerebbe questa l’argomentazione di un tale filosofo, è constatato non operare sempre. È visto, infatti, intervenire talvolta ed altre non. Proprio da una tale non continuità ovvero da un non rivelarsi sempre presente sorge il problema: Per il fatto, dunque, che l’intelletto non agisca sempre sembrerebbe risultare negato un suo essere. Esso, infatti, che talvolta coglie il legame e il passaggio da qualcosa a qualcos’altro altre risulta assente. Ove rappresentasse un essere dovrebbe svolgere il proprio ruolo. A essere considerato sembra proprio quale un essere che però non può essere ritenuto tale poiché un essere non risulta solo a tratti per poi scomparire.

Al riguardo, però, basterebbe considerare l’uomo da sveglio e da dormiente. Trattandosi tuttavia di un qualcosa da venire a configurazione ovvero tale da esprimersi quale essere, Aristotele arriva a considerare un quid sul quale fare leva e tale da sostenere quell’operazione che non riesce a essere spiegata. L’uomo, infatti, non è ritenuto potere porre in essere alcunché potendo solo rappresentarsi una conoscenza a un essere corrispettiva. Non potendo affidarsi nemmeno a una potenzialità, poiché questa attiene all’essere, commette la spiegazione ad un intelletto attivo che viene, in una qualche modalità, in aiuto all’intelletto dell’uomo.   

Esso intelletto attivo sembrerebbe però acquistare una connotazione quasi divina. Superiore ed esterno a quello dell’uomo è considerato soccorrere l’altro per portare questo a essa intuizione. In una tale ritenzione Aristotele arriva quasi a comportarsi in un modo non diverso da Platone, pure condannato per avere posto in essere un inutile doppione costituito dal mondo delle idee rispetto a quello sensibile. Nel caso in esame, infatti, Aristotele, ancorché tentennante, appare comunque richiamare un’altra realtà anziché risolvere il problema concentrandosi solo sull’intelletto dell’uomo.                                                                                 

Noi moderni, riportando le considerazioni del professore Addona, potremmo ritenere che essa intuizione sia prodotta da quell’attività che riesce a collegare termini fino a farne emergere altri che, prima del loro comparire in una siffatta configurazione ovverosia intuizione, risultavano non noti. Proprio il dispiegarsi di quanto inseguito arriva a essere ritenuto portato da una illuminazione e specificamente per il fatto che a risultare evidenti sono le relazioni che forniscono una spiegazione di quanto prima, monco, si delineava, appunto, in una oscurità.

Se l’uomo, altresì, intuisse continuamente si avvicinerebbe alla posizione dalla quale un dio è reputato cogliere, in uno, il tutto. Al di là di tanto risulterebbe quell’uomo proiettato fino a comprendere i vari legami nel loro dispiegarsi, venendo in tal modo ad avvicinarsi a quella condizione superiore.

Non, dunque, per mezzo di un intelletto esterno un intelletto passivo sprigiona le sue potenzialità. È essa attività, quale pensiero, che perviene a risolvere i legami tra termini presenti e richiamati fino a essere rappresentati in quella che si dice intuizione e da tenere distinta da quella dai fenomeni rappresentati nello spazio e nel tempo così come da Kant ritenuta.       

Nessun commento:

Posta un commento