mercoledì 24 maggio 2017

E’ POSSIBILE UNA POLITICA RISOLUTRICE?

Aristotele non si configura uno stato ideale ma osserva gli stati in atto e trova che esistono alcuni sono monarchici, altri tirannici, altri ancora aristocratici e quindi, oligarchici, democratici e demagogici. Egli rileva che ogni stato allora che si forma è positivo. Esso, dobbiamo ritenere, dà spazio, infatti, a ogni persona che trova nella comunità il proprio bene che insegue con le azioni che nello stato porta avanti. Lo stato è, dunque, la comunità più grande e importante. Aristotele è convinto che lo stato non abbia bisogno di altro per vivere ovvero per esistere come tale e ha come funzione di rendere possibile la vita. Lo stato esiste per natura così come le comunità esistono per natura. L’uomo è, infatti, per natura un essere socievole.

Lo stato monarchico si forma perché qualcuno che diventerà re è il migliore e gestisce in funzione di tutto il popolo. I figli di costui, invece che nascono già in una reggia senza aver fatto sacrifici, pensano pian piano che sia un proprio diritto e usano quel potere derivante dalla situazione venuta a crearsi per motivi personali facendo transitare esso stato nella tirannide. Gli aristocratici, ovvero i migliori e dobbiamo reputare a questo punto i virtuosi che hanno a cuore il bene comune, non possono sopportare un tale fatto e fanno il sacrificio di allontanare, rischiando anche la vita, il tiranno di turno, liberando, così, la città. Quando i figli degli aristocratici prendono il potere, sperperano per loro stessi svolgendo quel ruolo già caratteristico dei figli del tiranno. Il popolo, a questo punto, si ribella e prende potere. Inebriato dal potere reputa di potere ostacolare i maggiorenti e appropriarsi in una parte quale che sia dei beni di questi. Aizzato, altresì, cade nella demagogia a sollevarlo dalla situazione nella quale è finito è qualcuno che per la sua virtù arriva a svolgere le funzioni di re e così il ciclo è visto ripetersi.

È possibile, viene da chiedersi, spezzare questo circolo? A essere viste alternarsi sono virtù e quelli che possiamo ritenere vizi fino a porre in essere tra stati corrispettivi alle une e tre agli altri. A fronteggiarsi sono, in ultimo una virtù e la sua degenerazione e però in coloro che non hanno prodotto per pervenire ad una situazione politica. Tenuto conto che a essere stata rintracciata è una causa rappresentata da un godimento di situazioni di fatto si tratterebbe, da parte dei virtuosi, di far percorrere ai rispettivi figli quel percorso formativo ovvero farli passare attraverso i sacrifici. Tanto implica una consapevolezza e una forza da parte dei governanti sino, dobbiamo ritenere, a scoprire il carattere dei loro discendenti per fare in modo che quanto ha rappresentato una loro conquista non degeneri, fatto questo che implicherebbe il loro stesso fallimento. La grandezza di un uomo sembrerebbe, a questo punto, consistere nel sacrificio di giudicare i figli senza offrir loro quello che non appare meritato. Un tale discorso era stato affrontato da Platone a proposito dei filosofi che dovevano avere il coraggio di avviare ad una classe d’argento o di bronzo quelli che non erano conosciuti quali uomini d’oro. Quanti genitori oggi appaiono disposti a riconoscere i meriti di giovani che sopravanzano quelli dei propri figli?

Una lezione del prof. Addona riportata da Francesco D'Andrea, I C.

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