mercoledì 24 maggio 2017

L’ETICA

L’etica è considerata in genere come quel tendere ad una dimensione che richiede un grande impegno quando non sacrifici, quasi si trattasse di un’altra realtà da raggiungere senza che ad esserne scoperti siano i risvolti. Aristotele era, tuttavia, già convinto che tutto l’agire umano fosse rivolto ad un fine da un bene rappresentato. Lo stesso bene sommo non si trova in un altro mondo, ma in questo e perviene ad essere identificato nella felicità. Per i filosofi antichi la felicità consisteva, in genere, per l’uomo nel riuscire a realizzarsi al meglio.

L’etica e la politica hanno entrambe come bene sommo la felicità. Per l’etica, però, questa risulta individuale, mentre per la politica riguarda la collettività. Se la felicità è rappresentata dal fine specifico dell’uomo, pure a variare sono gli obiettivi da un individuo ad un altro. E’ lecito ancora parlare di uomo in generale? La stessa considerazione di felicità non risulta dunque unica. Una persona che trovasse il proprio appagamento nell’alcol potrebbe sentirsi felice ubriacandosi per una vita. Simile il discorso allora che a essere considerati fossero obiettivi diversi. La considerazione di felicità dipende dalle particolari visioni, da una parte, e dall’altra dal giudizio prodotto da altri senza però che questo possa inficiare quel comportamento e quella ritenzione. Ad una valutazione può tuttavia emergere che colui che si inebria pure è in relazione con altri oltre che con ciò che consenta a lui di procurarsi quel materiale. Da valutare sono altresì i risvolti. È possibile esplicarsi in uno stato di continua ebbrezza? Ove tanto non risultasse ad emergere sarebbero i risvolti da valutare al punto che a essere chiamato in causa sarebbe l’insieme. Tanto a prescindere ancora dalla relazione tra quanto possiamo ritenere attenere a una vita vegetativa, ai sensi correlata, e soprattutto a una visione o, più specificamente, a una realtà portata da una ragione, con un intelletto quale strumento ovverosia capacità a cogliere individuazioni e ad apportare accorgimenti perché un obiettivo possa essere raggiunto. Una virtù, dunque, non risulta avulsa da una ragione né indirizzata a qualcosa di aleatorio o di teorico quasi rappresentasse una evanescenza o anche un niente.

Si tratta di riconoscere, quindi, quanto arrivi a rappresentare il meglio. Se i beni possono rappresentare un mezzo che faciliti il raggiungimento della felicità, non possono però determinarla. Questa, infatti, per Aristotele è vista dipendere da altro ovvero da quella capacità atta a cogliere quanto risulti il più funzionale possibile per un uomo che si esprima per determinate caratteristiche coniugate con quanto arriva ad esprimere in una società. Una tale connotazione arriva a rappresentare quella parte sulla quale interviene la ragione. Se una virtù, quella morale, si trova a dipendere dai costumi, quella razionale consiste nella capacità di elaborare. Eppure la ragione riesce ad individuare quanto possa risultare valido muovendo dalla situazione economica e politica che arriva ad interessare un uomo. Ad un politico ammirato e in possesso di un patrimonio vasto conviene l’essere magnifico. Non può permettersi invece di spendere molto per il pubblico colui che o non avesse risorse a sufficienza o non svolgesse un ruolo politico adeguato. Si tratterebbe in questo caso di muoversi impropriamente quale un liberale e quindi fuori da quanto constatato valido da essa ragione che arriva a valutare i vari comportamenti posti in essere.   

Né appare trattarsi, per Aristotele di quel giusto mezzo pure ritenuto e però non quale a metà, e statico che potrebbe essere indicato dall’espressione “in media re”, ma “in medias res”, ovvero rintracciato in quel dinamismo. La liberalità, infatti, non è a metà tra la magnanimità e la tirchieria, ma più vicina alla prima. Essa si presenta comunque lontana da quell’avarizia ritenuta negativa. Liberale e magnanimo sono entrambi positivi.

 

Da considerare è, altresì, il piacere, come già per Platone, di potersi raffrontare con qualcuno che prenda in considerazione colui che si propone e al quale potere trasmettere le proprie emozioni e ricevere un messaggio di ritorno. Anche rapporti di tal fatta vanno valutati.  Ad emergere è che i bambini e anche i giovani sembrano amici di tutti ed invece sono visti dimenticare i vecchi compagni di giochi sostituendoli prontamente con i nuovi. Essi si realizzano puntualmente nel luogo dove si trasferiscono con i loro genitori. I rapporti di costoro non sono profondi né fondati, possiamo aggiungere, su virtù. Costoro sembrano muoversi quasi da egoisti ponendo il gioco al primo posto con gli altri che sono considerati necessari perché tanto avvenga. Gli anziani sono ritenuti da Aristotele i peggiori. A costoro non interessano le vicende altrui ma tendono solo a raccontare le proprie. Gli altri vecchi servono solo a sostenere il sé degli altri. Anche l’amicizia vera è quella tra persone mature fondata, questa volta, sulla ragionare comprendendo così quanto possono dare prima ancora di considerare un corrispettivo da ricevere. Analogamente anche l’innamoramento ha bisogno di ragione, altrimenti risulta affidato a quanto non controllato in alcun modo, può alla prima occasione prendere una via qualsiasi e diversa quando non opposta a quella sulla quale pure ci si era, con la più grande passione e speranza, incamminati. A condizionare, in tal caso, sono i vari elementi sui quali quello si regge senza che ad intervenire possa essere quanto ulteriormente supportare. Tanto il professore Addona affronta specificamente nel libro “Sensibilità e ragione” Bonanno editore.

Una lezione del prof. Addona riportata da Francesco D'Andrea, I C.

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